benedetta gente

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    Il protagonista di “Sostiene Pereira”, romanzo e film, si dibatte con un suo dubbio che gli fa sospettare di essere un cattolico eretico: non crede alla resurrezione della carne. E’ una carenza marginale che non gli impedisce di prendere coscienza politica e sociale, di uscire dal suo guscio di individualista che cura la pagina culturale su un giornale del pomeriggio (per chi ha un’età sufficiente, i giornali del pomeriggio esistevano anche da noi, La Notte e il Corriere d’Informazione, al tempo in cui i quotidiani invecchiavano meno di adesso eppure si sentiva il bisogno di “aggiornarli”). Ma Pereira nella resurrezione della carne proprio non riesce a credere, lo va chiedendo ad altri cattolici, quelli lo guardano in un certo modo, come a dire, che ci frega? Che poi non ci pensano proprio tanti cristiani che vanno in chiesa la domenica, come da usanza più che da precetto che, dicono (dicono) di essere pronti a impugnare crocifissi come armi contundenti contro altri che credono in un Dio che chiamano con altro nome. Ma voi che leggete, ci credete o no nella resurrezione della carne? Perdinci, arriva Pasqua, qui sta il mistero dei misteri, risorgeremo e lo faremo in anima e corpo che già uno vorrebbe scegliere il momento in cui il proprio corpo era in piena forma e confida nella chirurgia estetica dell’aldilà. Per difendere qualcosa se ne deve conoscere il valore e il significato, il dottor Pereira si credeva un buon cristiano, anche senza credere nella resurrezione della carne che proclamiamo con fede (?) recitando (annoiati) il Credo tra i banchi della chiesa, dopo la noiosa predica del parroco. Anche Paolo di Tarso era un buon ebreo (per questo perseguitava i cristiani con le armi in pugno). Poi ci ha ripensato ed è arrivato a scrivere che “se Cristo non fosse risorto la nostra fede sarebbe vana”, varrebbe un bel niente. Sostiene Pereira che all’anima sì che bisogna credere, quella nemmeno muore (sta scritto: “vita mutatur non tollitur”), ma poi guardava il suo corpo flaccido e: “tutto quel lardo che lo accompagnava quotidianamente, il sudore, l’affanno nel salire le scale, perché dovevano risorgere?”. Eppure la fede, la chiesa, dice che sì, risorgeremo in anima e corpo. Lo stesso Pereira non solo crede all’anima, ma parla con il ritratto della moglie tutti i giorni, le racconta le brutte cose che gli succedono, non tutte, per non demoralizzarla, dice. Crede ai morti che lo ascoltano ma no, non riesce a credere alla resurrezione della carne. Eppure Gesù risorto si fa riconoscere, si fa toccare, non subito, ma da Tommaso sì e anche coi discepoli di Emmaus spezza il pane e mangia con loro. Anima e corpo. La Pasqua è questa fede, messaggio dirompente in un mondo in cui la morte viene “vissuta” come un incidente di percorso, hodie mihi cras tibi va rovesciato in hodie tibi cras fortasse mihi, oggi a te e domani, ma forse, a me. Viviamo tempi in cui il Cristo, il Messia, il Salvatore, non può stare sulla croce, è la rappresentazione di un perdente, un condannato a morte, si brandisce il crocifisso, non il Crocefisso. Siamo anche noi tutti condannati a morte, la data è da stabilire. La speranza di immortalità dell’anima (e vada anche per il corpo che nei poemi comunque non si può abbracciare, sono solo ombre che parlano) percorre la storia degli uomini fin dal principio e non si ferma nemmeno davanti all’evidenza della fine. San Gerolamo scrive: “Ogni giorno cambiamo, ogni giorno moriamo, eppure ci pensiamo eterni”. Che botta! Ma domani è un altro giorno, e non confidando in resurrezioni politiche, possiamo consolarci con un buon giorno augurandoci a salve, credendoci o non credendoci, un Buona Pasqua. E spero vi riesca.