Ripasso di storia. “Spesso promossa in latino, sempre bocciata in storia, l’Italia è ripetente” diceva una canzone dei ruggenti anni sessantottini. Qualcuno ricorda i triumvirati dell’antica Roma? Si formavano nell’evidenza che c’erano due “homini novi” sulla scena politica, ma nessuno dei due era così forte da imporsi all’altro. Ed ecco la soluzione: trovavano un terzo elemento, un personaggio di contorno, e facevano un triumvirato. Nella storia il terzo personaggio faceva da comparsa per sparire rapidamente. A quel punto scoppiava la guerra civile. Il primo triumvirato era composto da Giulio Cesare, Gneo Pompeo e Licinio Crasso. Certo, non si può pretendere che gli aspiranti triumviri moderni diano in moglie ai due colleghi le figlie (Cesare, amico di Crasso, diede in moglie a Pompeo la figlia Giulia). I triumviri si spartirono le “province”. Ma Giulia morì di parto, Crasso morì in battaglia, restarono i due contendenti e si scatenò la guerra civile, vinta da Cesare.
Dopo l’assassinio di Cesare sulla scena restano i presunti eredi e si forma un altro triumvirato composto da Ottaviano Augusto, Marco Antonio e di contorno Marco Emilio Lepido. Anche in questo caso finché il triumvirato resse, ci fu un periodo di relativa calma, poi il tutto sfociò nella nuova guerra civile tra Ottaviano Augusto e Marco Antonio (anche qui una donna attrice non protagonista: Cleopatra).
Quello che si prospetta nella Roma di oggi, è un duumvirato Lega-5 Stelle: di contorno, chiamato in causa di tanto in tanto, “per vedere l’effetto che fa”, il Pd. E’ un rimandare lo scontro tra i due veri contendenti. Una guerra civile è uno spauracchio che, meno male, si consumerebbe solo nelle urne (non quelle funerarie). Il “fastidio” sono le regole democratiche. Si comincia con le “consultazioni”, tutti da Mattarella a dire quello che hanno detto e ripetuto per settimane in tv. Mattarella a rigore potrebbe fare a meno di perdere tempo, sa benissimo cosa bolle in pentola, sa che nessuno ha una maggioranza per governare per conto suo, aspetta solo che gli dicano se davvero fanno un patto di non belligeranza i due “vincitori”. In ogni gara non ci sono mai due vincitori, si fa lo spareggio, non si assegnano due scudetti, semmai l’ex aequo vale solo per le medaglie minori. Quindi avere due vincitori è già un’anomalia, soprattutto se la loro può essere vissuta come una vittoria di Pirro, quel re dell’Epiro che vinceva la battaglia ma lasciava sul campo tanti di quei morti che in fondo aveva vinto solo… contandoli e avendo un solo “caduto” in meno dello sconfitto.
E qui ci vorrebbe una legge elettorale che costringesse al ballottaggio i due vincitori, insomma il classico spareggio. Una legge così ce l’hanno in Francia, noi no, figurarsi, siamo proporzionalisti per natura. La nostra storia è quella di un partito, la Dc, che non avendo la maggioranza assoluta, si alleava con partiti e partitini. Il Pci, pur essendo il secondo partito (e addirittura primo in occasione di una delle prime elezioni europee: 1984) era escluso per ragioni… internazionali.
Il tentativo dei 5 Stelle di fare un accordo con il Pd, il tentativo di Forza Italia di fare un accordo col Pd, sono state le mosse che (almeno finora) non hanno prodotto il triumvirato, che si fa in tre, non in due. Le tentazioni aventiniane (vedete come la storia romana torna sempre) del Pd e le pretese egemoniche dei due “vincitori” richiederebbero un nuovo Menenio Agrippa, il tipo che va a raccontare alla plebe ribelle la storiella dello stomaco e delle membra, che devono per forza stare insieme per restare vivi. Mattarella potrebbe ripassare l’apologo, di certo ha da qualche parte il libro di storia del liceo, se no la storiella la trova in wikipedia… E raccontarla a Di Maio e Salvini: per loro, temo, sarebbe un inedito.