Sulle orme del Beato Charles De Foucauld
“Il deserto è Dio, il silenzio è la sua parola”. E’ un proverbio dei Tuareg, i signori del Grande Nulla, quel Sahara che respinge e attrae con le sue condizioni estreme, quell’immenso mare di sabbia dove il viaggio diventa avventura, il tempo e lo spazio svaniscono in un’altra dimensione. In quel mondo minerale, dominato soltanto dal sibilo del vento l’uomo perde ogni riferimento con ciò che ha sempre conosciuto e tutto ciò che conta veramente lo trova dentro se stesso, nella libertà della propria pienezza interiore. Il deserto, con la sua spietata essenzialità, è stato da sempre il grande amico di mistici, eremiti ed asceti, decisi ad uscire dal mondo per scardinare la prigione della materialità ed entrare nella luce dello spirito. Nella grande avventura cristiana delle origini, i “Padri del Deserto” sono il riferimento obbligato per chi vuole ritrovare se stesso, mettendosi alla prova con la rinuncia estrema ad ogni desiderio e ad ogni trappola costruita dall’illusione del benessere materiale. Sogna forse altre occasioni di gloria, il francese Charles De Foucauld, quando nel 1880, avviato alla carriera militare, conosce per la prima volta il deserto algerino. Presto però, il suo atteggiamento cambia completamente. Il giovane uffciale è affascinato dalla gente, ma soprattutto si rende conto che quel mondo allora ancora semi-inesplorato e sconosciuto poteva diventare la sua vera scelta di vita. Laggiù avrebbe potuto maturare appieno quella vocazione spirituale che lo tormentava da dentro senza ancora offrirgli però una visione chiara del suo destino. Abbandona la carriera militare, vagabonda per anni come tecnico e geografo nelle zone più impervie dell’Atlante marocchino. Ma non basta ancora. Nel 1890 veste il saio del monaco ed entra nella abbazia trappista di Notre Dame des Neiges. Dopo 6 mesi, eccolo già ad Akbes, in Siria, in condizioni già molto più dure. Dopo altri tre anni a Nazareth, in Palestina, torna in Francia e nel 1901 viene ordinato sacerdote. Qualche mese dopo, decide di stabilirsi nel Sahara, in una regione al confne tra Algeria e Marocco, raggiunta marciando per 3000 chilometri a piedi. Nel 1904 scopre il mondo dei Tuareg. Resterà tra loro, dedicandosi con impegno totale a raccogliere la memoria della loro ricca cultura orale, della loro lingua, dell’alfabeto e della grammatica fno al 1916. Il suo rifugio diventa la chiesetta dell’Assekrem, costruita pietra su pietra su una spianata solitaria a 2800 metri d’altezza affacciata sullo straordinario panorama dolomitico delle cime dell’Hoggar. “Da dieci anni celebro la messa nell’eremitaggio dell’Assekrem. E non un solo convertito! Bisogna pregare, lavorare e avere pazienza”. Il successo missionario classico non interessava Charles De Foucauld. Vedeva il volto del Gesù di Nazareth in ogni abitante del deserto ed era convinto che il suo compito fosse quello di testimoniare la fede cristiana nel cuore di un mondo che ancora non la conosceva. Fu lui a tradurre in lingua tifnagh, l’alfabeto tuareg, i quattro Vangeli. Fu lui a costituire la regola dei Piccoli Fratelli, esortandoli a “espandersi ovunque, ma soprattutto nei paesi infedeli”, rispettando le usanze locali e dedicandosi con amore alla cura dei poveri, dei malati e dei bisognosi. Scopre la schiavitù, la denuncia pubblicamente e ne è scandalizzato. “Noi non abbiamo il diritto”, dice “di essere delle sentinelle addormentate, dei cani muti, dei pastori indifferenti”. La scelta di De Foucauld, nel suo primo incontro col deserto, fu quella di abbandonare l’uniforme per “camminare scalzo” tra la gente. Ma per una strana ironia del destino, la sua sorte resta strettamente legata alle vicende della colonizzazione europea in Africa e della grande politica internazionale. Nel 1916 la guerra mondiale che sta lacerando l’Europa irrompe anche nel silenzio del Sahara. Il forte francese di Djanet viene assalito e distrutto dalla corrente islamica dei Senussiti in rivolta, i più feri avversari dell’espansione italiana e francese nel Nordafrica, che possono ora dilagare fno all’Hoggar. A Tamanrasset, De Foucauld aveva costruito un fortino di fango e pietre per dare riparo ai tuareg di passaggio. Il primo dicembre del 1916, mentre i Senussiti si avvicinano alla città, il sacerdote viene misteriosamente ucciso da un colpo di pistola al collo. Il segno del proiettile è ancora stampato sulla parete esterna del fortino. Sulla pietraia dell’Assekrem, svetta ancora l’eremitaggio in pietra che fu il luogo privilegiato di ricerca di padre De Foucauld. Da allora, per un secolo, hanno dimorato quassù i Piccoli Fratelli, diventati custodi di questo luogo speciale, miracolosamente sopravvissuto anche al fanatismo integralista dell’Algeria moderna. Padre Edouard, 85 anni, francese, vive in Algeria da quarant’anni, quasi tutti trascorsi sull’Assekrem. “Mi chiamo Edouard, sono originario di Lione in Francia. Sono stato ordinato prete nel 1951, e nel 1954 sono entrato nella congregazione dei Piccoli Fratelli di Gesù, che è una congregazione fondata nel 1939 nello spirito di C. de Foucauld. Sono rimasto 18 anni ad Algeri dopo aver fatto il mio noviziato a El Abiodh Sidi Cheikh nel sud oranese, il luogo di fondazione dei Piccoli Fratelli di Gesù. Al mio noviziato c’era un italiano celebre che si chiamava Carlo Carretto. Dopo il mio noviziato sono stato mandato nella città di Algeri, era il periodo della guerra di Algeria, della Rivoluzione algerina. Ero nei quartieri algerini, nella comunità algerina che aspirava all’indipendenza. Dopo l’indipendenza sono rimasto altri 10 anni ad Algeri. Dopo di che sono stato mandato qui ad AsseKrem, dove la nostra congregazione ha fondato una comunità nel 1955. Lo scopo dell’insediamento di una nostra comunità qui era permettere prima di tutto ai fratelli della nostra congregazione, sparpagliati in una quarantina di paesi nel mondo, di risiedere qui per un periodo di ritiro, un po’ speciale: un ritiro nel deserto. Sono qui da quarant’anni ormai. Ho conosciuto dei periodi molto diversi perché questo luogo era diventato molto turistico. Turismo che è completamente sparito negli ultimi due anni a causa dei problemi con le frontiere limitrofe del Mali e del Niger. Adesso vediamo qui quasi solo algerini. Io stesso da 58 anni sono in Algeria e ho la doppia nazionalità. Ecco, come possibilità di incontro tra cristiani e musulmani questo è un luogo molto interessante. Ma trovandoci nel deserto ci sono anche momenti di grande solitudine che sono propizi alla preghiera. Vivo qua con due Fratelli più giovani di me. All’inizio ero con un Fratello che è rimasto con me 35 anni, e poi ci ha raggiunto un altro Fratello per 25 anni. Attualmente son qua con Fratello Ventura da dieci anni con me, e con un Fratello polacco”. Cosa trova qui? Prima ha parlato di solitudine, del silenzio: perché l’uomo va alla ricerca di queste cose, in realtà cosa cerca? “Noi Piccoli Fratelli sparsi per il mondo viviamo semplicemente come piccole comunità e all’interno del nostro appartamento o casa, abbiamo una cappella dove preghiamo insieme, o singolarmente. Quindi tutti i giorni tutti i Fratelli del mondo pregano, fanno quello che chiamano la loro adorazione, la loro orazione. Qui è facile farlo, bisogna però farlo la mattina per disporre di un momento di tranquillità, poiché molti visitatori vengono all’alba. Quando si cammina nel deserto si trova un silenzio molto grande, è il silenzio della natura così come è stata creata da Dio, è rimasta tale e quale, una natura intatta e per lo più senza alcuna traccia umana”. Prima mi ha nominato Carlo Carretto, cosa mi può dire di lui? “Carlo Carretto ha fatto il suo noviziato qualche mese dopo di me, l’ho visto arrivare a El Abiodh nel deserto. Era contento di arrivare nel deserto, prima era stato responsabile nazionale dell’Azione Cattolica, in Italia, e mi ricordo che per la festa del Natale, quando ha preso l’abito, ci ha fatto vedere delle foto di grandi meeting dove parlava a una folla come un uomo di stato, o qualcosa di simile. E quindi era abbastanza impressionante vederlo entrare nella nostra comunità e vedere diventare piccolo novizio della Fraternità. Era il Natale del ’54 e un anno dopo ha preso i voti, e nel ’57 è stato mandato a Tamanrasset, dove è rimasto 3 anni. Lavorava. Ovunque noi siamo nel mondo noi lavoriamo per guadagnarci da vivere come possiamo – lavorava in una comunità che si chiamava ‘La pluie provoquee’. Doveva installare apparecchiature di osservazione meteorologica e climatologica nel deserto. Bisognava fare un circuito/ sopralluogo tutte le settimane. Ha percorso il deserto con una piccola vettura, una jeep, con un’altra persona per fare delle osservazioni di apparecchi climatologici sparsi un po’ ovunque nella regione. Passava di qui ogni settimana e quindi si è legato parecchio a questo luogo. E’ rimasto circa 3 anni a Tamanrasset, dal ’57 al ’60. In seguito si è diviso per qualche anno tra una Fraternità che era a Beni Abbes, dove Charles De Foucauld ha vissuto per 4 anni prima di andare nello Ahaggar. Trascorreva l’inverno a Beni Abbas e d’estate andava a Spello. Ha conosciuto qualche accampamento Tuareg e ha conosciuto soprattutto il deserto. Il deserto percorso in macchina… Ha scritto subito dopo il suo soggiorno ‘Le lettere al deserto’, era il suo primo libro; ne ha scritto un secondo dove diceva che era l’ultimo… e ne ha scritto una decina in seguito. E’ tornato a fare una visita nei primi anni che ero qui, negli anni ’70. L’ho visto una volta, ma aveva problemi cardiaci e non poteva più vivere qui”. Questo è il regno dell’infnito e del silenzio. “L’infnito è una parola astratta per me. Non impiego quella parola per parlare di Dio…non mi dice niente la parola “infnito”. E in quanto al silenzio è diffcile parlarne, è meglio tacere. E’ ben evidente che quando si vive nel deserto, in luogo desertico si hanno dei periodi in cui si sta nel silenzio…il silenzio fsico, se si può dire. E’ altra cosa del silenzio interiore che si trova, che si cerca di trovare, nella preghiera, quando si pensa a Dio, quando si pensa al Cristo, alla Vergine Maria…bisogna fare silenzio in sé stessi per incontrare la presenza di Gesù, e unirsi alle preghiere della Vergine”. Cosa si può dire alle persone che trascorrono la loro vita sempre in mezzo a molta gente, e non in silenzio? “Che è auspicabile fare uno sforzo di tanto in tanto, per ritrovare un silenzio interiore che permetta di riprendere fato, il fato della fede. La fede ha bisogno di respirare di essere alimentata, e lo sguardo sulla preghiera, lo sguardo su Gesù, ha bisogno di raccogliersi in un certo silenzio, un silenzio interiore”. Lei ha seguito la linea di Charles de Foucauld? “Quando sono stato ordinato Padre nel ’51, dopo gli studi a Parigi e a Lione, in Francia era l’epoca in cui la Chiesa conosceva un periodo di creatività. Era l’epoca in cui ci sono stati i primi preti operai, quello che si chiama la missione di Francia. A Parigi, all’epoca, quindi dal ’45 al ’50, il cardinale di Parigi era il cardinale Suhard che ha scritto delle lettere celebri sul declino della Chiesa. Insomma c’è stato un momento molto creativo nella Chiesa in quel periodo. Siamo venuti a conoscenza allora dell’evoluzione della fondazione dei ‘Piccoli fratelli di Gesù’, che era stata fondata nel ‘33 nel deserto e che aveva avuto per una decina di anni la forma di congregazione che era… come una Certosa nel deserto. E poi nel ’45 c’è stato un orientamento completamente nuovo, una dispersione di tutti i Fratelli un po’ dappertutto nel mondo, progressivamente. Per vivere non più ritirati, ma al contrario per vivere una vita in mezzo alle masse. Vedi il libro apparso in quel periodo che si intitola ‘Al cuore delle masse’ e scritto da Renè Voyaume, il nostro fondatore. E quindi si è arrivati a una dispersione di tutti i nostri fratelli nei diversi paesi, e poi a vivere di lavoro, sotto forme diverse a seconda dai luoghi. Ma voleva anche essere una vita di preghiera e di contemplazione: contemplazione lungo il cammino degli uomini”. Perché ha pensato di venire qui, in un paese di musulmani? “La nostra congregazione è stata fondata in Algeria nel 1933, nel sud oranese e quindi in un paese musulmano. E c’è stato subito un contatto molto marcato con il mondo musulmano, e siccome sono stato incaricato all’uscita dal noviziato nella città di Algeri, qui mi sono ritrovato e ci sono ancora. Ma abbiamo delle Fraternità un po’ dappertutto, in 40 paesi nel mondo. E spesso in paesi non cristiani, non per forza musulmani”. Le capita di pregare a volte con i musulmani? “No ma riceviamo ogni giorno dei musulmani e abbiamo degli scambi, ma non su un piano di pensiero teologico, semplicemente sulle cose della vita”. Eremiti senza esserlo… “Ci sono stati periodi in cui vedevo 50 persone al giorno… I Piccoli Fratelli di Gesù non sono affatto eremiti. C’è una parola equivoca, quando si parla delle case dove abitava C. de Foucauld si dice sempre eremi. De Foucauld stesso chiamava la sua casa ‘eremo’ ma non aveva dei propositi eremiti. Era un uomo con molte relazioni, il lavoro linguistico che ha fatto è considerevole. Questo lavoro è stato fatto per dialogare con il mondo Tuareg, e se le dico quello che mi interessa qui, prima di tutto, è che questo è un luogo di incontro. Io vivo da circa 60 anni in Algeria e questo è il posto dove incontro più algerini, più di quanti ne incontrassi nel cuore di Algeri. Noi Piccoli Fratelli di Gesù non siamo affatto eremiti. Eremiti non vuole solo dire essere contemplativi, eccetera. Prego regolarmente tutti i giorni, ma non mi considero per niente un eremita. Invece i fratelli che vengono qui una volta nella loro vita, per un periodo di ritiro, le ospitiamo a 2-3 km da qui in piccole case isolate, che sono eremi. Questi fratelli di varie parti del mondo lasciano la loro vita quotidiana di lavoro, di relazioni per trascorrere qui un periodo di ritiro solitario. Loro sì vengono qui per un periodo di eremitaggio. E noi stessi (io e i fratelli che sono qui con me) trascorriamo ogni anno almeno 15 giorni in uno di questi eremi dove non incontriamo nessuno”. Cosa pensa dei monaci di Tibhirine: hanno cercato il martirio? “Ci sono un sacco di libri su Tibhirine, in particolare c’è l’ultimo libro di Jean-Pierre, l’unico sopravvissuto. Li legga e avrà la risposta. Ho conosciuto i Fratelli di Tibhirine, l’abbazia, o meglio, la trappe di Tibhirine molto prima del dramma. Padre Christian, il priore ha trascorso qui un mese in ritiro solitario, come eremita, nel dicembre ’79. Non ne voglio parlare perché era un momento molto diffcile per lui. Ho avuto lunghe conversazioni con lui, ma sono nell’ambito della confessione”. Lei è nato a Lione nel 1927. Mi può raccontare una sua giornata tipo? “Ci si alza molto presto, verso le cinque. Ognuno prega individualmente, per un’ora. In seguito ci si alterna per ricevere le visite, per esempio oggi è il mio turno; devo aver fnito di pregare prima dell’alba perché c’è gente che sale a vedere l’alba e io voglio essere presente a riceverli. Una volta accolti i visitatori, si celebra insieme l’eucarestia, alle otto. Mentre uno di noi è di turno, per accogliere i nuovi arrivi, per fare i lavori di casa, in cucina eccetera, l’altro è libero. I fratelli più giovani fanno spesso lavori di manutenzione, di muratura, ecc. Abbiamo varie casette, eremi, che sono state costruite sommariamente e necessitano di interventi. Ognuno agisce secondo le sue competenze e possibilità. Io non faccio molto, se non cucinare e qualche lavoro di pulizia. E poi si ha anche il tempo per leggere e scrivere…”. Pensa di aver trovato tutto della vita stando qui? “Non si è mai trovato tutto nella vita, si è sempre in attesa, alla ricerca…”. Cerca ancora qualcosa? “No, si vive nella speranza e nella pazienza”. Charles De Foucauld era un prete diocesano che si era legato alla diocesi del Sahara a quell’epoca e il 13 novembre 2005 è stato beatifcato da Papa Benedetto XVI. “Prima della sua conversione è trappista. E’ trappista in Francia, in Siria, e vive qualche tempo da solo, in prossimità di un convento di Clarisse a Nazareth, per tre anni…In seguito viene in Francia, trascorre un anno, fnisce i suoi studi di teologia e viene ordinato prete. E come prete parte per l’Algeria dove trascorre quattro anni a Beni Abbès, nel Sahara occidentale. E all’inizio pensa di farsi eremita. Ma non ci riesce perché la popolazione va a trovarlo, lui li riceve, e così poco a poco viene a contatto con loro… ma continuando a pregare”. Scrive le sue “Regole” ma non vengono accettate: “Già, quando lui è alla Trappe non è soddisfatto e allora scrive delle regole di vita che sono impossibili da mettere in pratica, sono molto belle e generose. Lui è di origine aristocratica, ha una famiglia ricca, e quindi insiste molto sulla povertà. Tutta la sua famiglia vive in castelli… Quindi Gesù di Nazareth nato a Betlemme in quella povertà, è una cosa che lo colpisce molto. Non sopporta di essere meno povero di Gesù, di come lo immagina”. Il vento del deserto soffa, Edouard sorride, quel sorriso che mischia l’essenza al cuore e all’anima, dove ci si perde dentro, in attesa dell’oasi, che è Lui.