Il posto giovani perduti senza lavoro

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    31%. Due numeri attaccati uno all’altro, due macigni
    che pesano sulle spalle dei giovani italiani, è il tasso di disoccupazione giovanile in Italia. Livello record e apnea per migliaia e migliaia di giovani che ormai non lavorano più e non sanno nemmeno quando lo faranno. Quando abbiamo cominciato a scrivere queste due pagine non ci eravamo accorti nemmeno noi di cosa stà succedendo. Ci siamo imbattuti in casi di assessori con una laurea in architettura rimasti senza lavoro, che per ‘vergogna’ ci hanno pregato di non raccontare la loro storia, tornati a vivere dai genitori e con l’acqua alla gola che devono ‘consolare’ chi poi va in Comune da loro a lamentarsi perché un lavoro non c’è ma anche il caso del fratello di un onorevole, figli piccoli e mutuo della casa che faceva l’operaio in una piccola azienda, chiusa per crisi e senza sbocchi, con il fratello che ha provato a dargli una mano e ha trovato solo porte chiuse. Un mondo a parte in un mondo che chiude gli occhi. Un mondo fatto di numeri che crescono ogni giorno di più, dieci punti di più tra il tasso di disoccupazione giovanile italiano e quello europeo. Un’intera generazione che non riesce più a entrare nel mondo del lavoro e quando ci entrerà, se ci entrerà non sarà più giovane ma avrà accumulato anni di vuoto. Numeri che fanno paura: i giovani che non frequentano nessuna scuola e che non lavorano nemmeno tra i 15 e i 29 anni sono più di due milioni, cioè il 22,1%. Se guardiamo non molto lontano da noi troviamo in Spagna il 22,9% di disoccupazione, in Germania al 5,5% e in Francia al 9,9%. In Germania addirittura a gennaio la disoccupazione è scesa al minimo storico e il numero di disoccupati é calato di 34mila unità, a 2,85 milioni. E allora che succede in Italia? La situazione rimane ‘coperta’, c’è poca voglia di alzare la voce, per dignità, per vergogna ma anche perché i genitori, finchè possono coprono e aiutano i figli, che stanno in casa il più possibile, che forse i ‘bamboccioni’ lo si diventa anche per necessità. Negli anni ’70 quando si usciva di casa a 20 anni i tassi di disoccupazione erano molto più bassi e le fabbriche vivevano il boom. Adesso il boom è al contrario, esploso addosso alla voglia di provare ad essere indipendenti, quell’indipendenza che sta diventando un’utopia.

    CERCASI lavapiatti. Eccomi. Una fila…

    “Locale vicinanze Mapello cerca cuoco, aiuto cuoco, lavapiatti e cameriere”, questo l’annuncio che trovo girovagando la sera su internet alla ricerca di un impiego, per vedere se da questa crisi è possibile uscire o meno e per capire soprattutto cosa è questa crisi. Decido di rispondere via email e dopo qualche giorno torna indietro la risposta con la data dei colloqui. Allora decido di partire in un freddo pomeriggio d’inverno verso Valtrighe, luogo di cui fino a pochi giorni fa ignoravo persino l’esistenza. A fatica trovo la strada che mi conduce in questa località di Mapello ai confini di Bergamo, imbocco una stretta via di campagna ed arrivo al locale. Capisco che quello è il luogo giusto dalle auto, decine di macchine cacciate ovunque, a bordo della strada, sui campi, nei cortili delle poche case vicine. Fuori dal locale c’è già la ressa e capisco che non sarà un bel pomeriggio, ma ormai ho fatto tanta strada e quindi meglio andare fno in fondo. Mai decisione si rivelerà più sbagliata, entro nel locale, una piccola birreria stile far west ancora da ultimare, e mi metto in coda. Davanti a me c’è una massa informe di persone, cinquantenni e giovanissimi, ragazze e ragazzi, donne e uomini, italiani ed extracomunitari, tutto il mondo dei disperati senza lavoro è li davanti a me che aspetta di poter fare due parole con i titolari del locale. Una sorta di girone dantesco nel nuovo inferno dei giorni nostri, gente disperata alla ricerca di qualsiasi cosa che possa tenere occupati corpo e mente. La fla non avanza, entro nel locale che sono le 14,40 e alle 15,10 m i trovo ancora in mezzo al gruppo. Nel frattempo dietro di me la gente continua ad affuire, ad attendere paziente la possibilità di raccontare chi è a quelli che, si spera, diventino i futuri datori di lavoro. Nel frattempo l’orologio corre ed arrivano le 16, un’ora e 20 in piedi e ancora c’è da attendere. I colloqui sono veloci e la gente passa in rassegna davanti ai titolari. Davanti a me c’è un ragazzo che non la smette di parlare, dice di aver fatto il barman ovunque nel mondo, dagli Stati Uniti all’Irlanda, dalla Germania al Giappone. Sa fare ogni tipo di drink, di cocktail, sa riconoscere ogni tipo di birra e passa in rassegna le usanze dei giovani dell’Europa. A dargli corda un cameriere che ormai ha superato la soglia dei 50 anni e che vanta conoscenze ovunque. Anche lui ha lavorato su navi da crociera, a Singapore e Honk Kong, sa fare ogni tipo di servizio ai tavoli e saprebbe lui come organizzare alla perfezione questo locale. A supplire i loro discorsi (ovviamente a voce alta) c’è una donna bionda accompagnata dalla figlioletta, entrambe in piedi. La donna sopporta e sopporta fino a quando finalmente, un’altra ragazza che sta proprio davanti ai due espertoni, si volta di scatto: “ma guardate che qui siete a Valtrighe, non a New York” e fnalmente i due si zittiscono, con i complimenti della mamma bionda. Alle 16,40, dopo due ore e passa di attesa è il mio turno, presentazioni veloci, quattro strette di mano e via velocemente a spiegare la mia poca esperienza maturata molti anni fa. Saluto e me ne vado, per niente soddisfatto, stanco morto e sempre più disperato. Nel frattempo la coda è sempre lì e continua a riempirsi, in totale ci saranno state più di duecento persone per pochi posti da lavapiatti, camerieri, cuochi e aiuto cuoco. Questa è la realtà di oggi, ora so cosa è la crisi e so cosa vuol dire ripartire da capo dopo anni per cercarsi un lavoro il più possibilmente fsso, questo è il nuovo girone dantesco dei disperati dei giorni nostri.

     

     

    IN CENTINAIA per… un posto al volante

    C.G. è un giornalista bergamasco che si è ritrovato senza lavoro in pochi giorni. Il tempo di svegliarsi al mattino, andare in redazione, sentirsi chiamare dall’editore che gli comunica che i soldi non ci sono più per nessuno o quasi, cassa integrazione, non per tutti, per C.G. licenziamento. Una corsa dai sindacati e all’ordine dei giornalisti a Milano, ma niente da fare, ‘certo che possono licenziarti, non ci sono soldi’. C.G. ha appena firmato il mutuo per la sua nuova casa, 32 anni, un bambino di 3 e uno che nascerà fra qualche mese, moglie casalinga e il mondo che all’improvviso crolla addosso ai suoi sogni: “Me li ha schiacciati, mangiati, distrutti, the end”. C.G. torna a casa, non dorme per tre notti e poi decide che bisogna rimboccarsi le maniche. Si ricomincia. O quasi. “Ho cominciato a guardare tutti gli annunci di lavoro”, muratore, imbianchino, venditore porta a porta. “E così è cominciato il valzer dei colloqui”, in giro per la provincia a sgomitare fra centinaia di candidati per un posto da aiuto imbianchino o da venditore: “Questionari da compilare, dati da lasciare e centinaia di chilometri da percorrere ogni giorno e ormai nemmeno la solita frase ‘le faremo sapere’, neanche quella, i questionari non hanno voce”. Qualche giorno fa l’ennesimo annuncio sul giornale. “La ‘bofrost’ una nota marca di consegna di prodotti surgelati cercava un autista per le consegne, così ho chiamato e preso appuntamento per il colloquio”. Ma C.G. si ammala, prende la bronchite e gli sale la febbre a 39: “Così ho chiamato la ‘Bofrost’ chiedendo se era possibile spostare il colloquio di qualche giorno, mi sono sentito rispondere ‘certo, non si preoccupi, mercoledì abbiamo fatto i primi 100, ieri i secondi 100, la inserisco fra il 400esimo e il 500esimo se le va bene’, ho ringraziato e riappeso il ricevitore. Cosa devo fare? per un posto di autista centinaia e centinaia di persone. Non lo sapevo, non me ne ero reso conto che la crisi era questa, è impossibile farcela, io non ce la faccio”. C.G. non sa cosa fare, la rata del mutuo arriva, il secondo figlio sta per nascere e il mondo è sempre più pesante sulla testa, sulle spalle, sul cuore e sul…portafoglio: “Ho chiamato tutti quelli che conoscevo e alla fne mi hanno consigliato di iscrivermi a un corso di OSS, Operatore Socio Sanitario, dieci mesi serali per poi cercare un posto in una Casa di Riposo o in ospedale ad aiutare gli anziani”. C.G. prende informazioni sui corsi: “E il costo del corso magicamente da quando è iniziata la crisi è schizzato verso l’alto, 1.900 euro, ho chiesto a varie scuole, tutti lo stesso prezzo”. E adesso? “Adesso impiego gli ultimi risparmi e ci provo, non ho altra scelta, ma ho paura, sono pessimista, mi hanno spento il sole, voglio solo lavorare, ma a chi lo dico? come me ci sono centinaia, migliaia di persone”. SCHEDA “IL POSTO” DI OLMI I NUOVI SCHIAVI DEL BISOGNO Il posto GIOVANI PERDUTI SENZA LAVORO LA STORIA 1 LA STORIA 3 LA STORIA 2 CERCASI lavapiatti. Eccomi. Una fila… IN CENTINAIA per… un posto al volante LA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE È AL 31% FUGA verso il nord (Europa) na, non conosciamo la lingua e nemmeno il posto, ma cosa dobbiamo fare? tornare dai genitori e chiedere ancora soldi?”. Giovanni e Michela hanno disdetto l’appartamento in afftto in Valcavallina e fra pochi giorni se ne vanno: “Maglioni e giubbotti come bagaglio e poi sarà quel che sarà, per i primi tempi alloggeremo in un ostello, l’idea è poi quella di conoscere qualcuno che ci indirizzi un appartamento a modico prezzo, dovremmo rimanere a Bergen un anno o due, aspettiamo e speriamo che la crisi in Italia fnisca e poi speriamo di tornare con qualche soldo risparmiato che ci permetta di ripartire qui, ma intanto il futuro non c’è e noi ce lo dobbiamo pur costruire da qualche parte”. Araberara – 24 Febbraio 2012 2 Il 22% dei giovani non studia e non cerca nemmeno lavoro Fascia di età dai 15 ai 29 anni che non frequenta nessuna scuola e non cerca nessun lavoro: 2.000.000 di persone, il 22,1%. Il 31% dei giovani in Italia è disoccupato. Disoccupazione in Spagna: 22,9%, Disoccupazione in Germania 5,5%, Disoccupazione in Francia 9,9%. L’Italia conquista il ‘podio’ europeo per i lavoratori inattivi, i cosiddetti ‘Neet’ (Not in Education, Employment or Training) che pone il paese al secondo posto in Ue appena dietro Malta. Ad essere più scoraggiate le donne che denunciano un tasso di inattività superiore di 15 punti a quello di Francia e Spagna. Il tasso di inattività italiano, ricorda ancora l’Istat, ha continuato a crescere arrivando anche al 37,8% in ulteriore aumento di 2 decimi di punto rispetto al 2009; al 26,7% quella maschile e al 48,9% quella femminile. A livello europeo, invece, il tasso di inattività 2010 della popolazione tra i 15 e i 64 anni nella Ue è stata pari al 29% in linea con l’anno precedente. E se Svezia e Danimarca gli scoraggiati sono al valore minino (al 20,5%), Malta tocca il 39,8% seguito a ruota dall’Italia che “presenta un livello di inattività ragguardevole”. Non solo. In Italia rispetto all’Europa l’inattività colpisce in misura molto maggiore le donne degli uomini. Uno scoraggiamento in rosa che si traduce, dice l’Istat, “in un tasso di inattività tra i più elevati a livello europeo e superiore di circa 15 punti percentuali rispetto a quello delle francesi e delle spagnole”. Più di 2 milioni di giovani, pari al 22,1% della popolazione tra 15 e 29 anni, è fuori dal circuito formativo e lavorativo. E’ la situazione peggiore nell’Eurozona. Guardando nel dettaglio il dato risulta più elevata tra le donne (24,9%) rispetto a quella degli uomini (19,3%) SCHEDA «Cosa devo fare? Per un posto di autista centinaia e centinaia.

    I NUOVI SCHIAVI DEL BISOGNO

    ) E adesso basta, le storie che si vivono in basso valgono più degli indici finanziari, la Borsa e gli spread. Sono gli uomini, la loro vita che fanno la storia, non questi mercanti corrotti che mentre pretendono sacrifici e sangue (altrui) di sottobanco ricattano il governo greco perché compri i sottomarini, gli aerei, i carri armati tedeschi e francesi (lettura incredibile di un resoconto sul Corriere della Sera). La misura della crisi vera non emerge, bisognerà prima o poi tirare le somme delle piccole storie personali, che non fanno massa di protesta. Noi cerchiamo di raccontare quelle che ci vengono confidate, con la garanzia dell’anonimato. Ci si vergogna di se stessi. Brutte storie che quindi stanno sottotraccia. Non solo i partiti (patetici i sondaggi che Mentana continua a dare ogni lunedì sera, per inerzia) ma anche i sindacati: dove sono, di che cosa parlano? Ferrei nel difendere un principio, si lasciano scappare la fne. Raccontiamo di gente che lavorava, stava bene, faceva parte della piccola-media borghesia, aveva fatto il mutuo per una casa, sperava in un aumento di stipendio, aveva prospettive, bambini da crescere, perfino piccoli hobby da praticare, qualche sogno da coltivare. Non cresce più niente, non ci sono più santi in paradiso. Il parente dell’onorevole che sta a Roma a discutere sugli scenari di partito e allarga le braccia, “mi rispondono tutti che non c’è trippa per gatti”. L’europarlamentare che mi confida che gli hanno perfino risposto male quando ha chiesto aiuto per un conoscente, perché la crisi rende impietosi (e maleducati) quelli che hanno ancora le redini dei piccoli calessi del benessere. O l’assessore che conosce tutti e adesso si ritrova senza un euro, disperato, gli è crollato addosso il mondo. Parlo di gente che sembra già privilegiata rispetto alla media dei nuovi poveri che non vogliono definirsi tali, non vogliono farlo sapere, non vogliono ammetterlo, annaspano. Fuori non appare nulla, hanno i vestiti buoni del tempo delle vacche grasse, l’auto di allora, solo hanno sfrondato le piccole spese senza alzare la voce. Non alza più nessuno la voce, siamo tutti coscienti che sarebbe un grido comunque isolato e ci si vergognerebbe, tutti si volterebbero a guardarti e ti verrebbe da sprofondare. A meno tutti aspettino che il bambino gridi da innocente quello che tutti sanno, che il re è nudo, che non ce la facciamo più, che il “posto” è di nuovo un sogno, ma alla rovescia. Quello raccontato da Ermanno Olmi nel suo flm del1961 era l’obiettivo raggiungibile, davvero il posto fisso, nel boom economico crescente ognuno aveva l’ambizione di far studiare almeno un figlio, perché facesse una vita migliore. Oggi abbiamo i ragazzi laureati che vanno a fare il colloquio per fare il lavapiatti (che colloquio si faccia per un lavoro del genere lo si può immaginare: disponibilità assoluta a qualsiasi orario, zitti e tanto peggio se hai le ubbie della tua dignità personale, scordatevela, nuovi schiavi del bisogno). Poi lo sberleffo di sentirsi chiamare “bamboccioni” o “sfigati”. Ci saranno anche quelli, ma il dato sulla disoccupazione giovanile è da allarme sociale. Solo trent’anni fa sarebbe scoppiata la rivoluzione. Ma anche in Grecia non c’è rivoluzione, c’è solo disperazione, la differenza è sostanziale, la prima ha un traguardo in avanti, la seconda uno all’indietro, rivogliamo quello che avevamo, non c’è tempo, forza e capacità per progettare un nuovo modo di stare insieme con giustizia ed equità (scordandoci la felicità). La vita è una sola, stiamo consentendo che venga consolidato un mondo di privilegi speculativi, per cui davvero diventano odiosi anche il meccanico, l’idraulico, l’albergatore, il dentista, il barbiere ecc. che non ti fanno la ricevuta e tu abbozzi perché cerchi di spendere meno, consapevole che quello intasca al netto di tutto i tuoi pochi soldi. E i tuoi bambini la sera ti guardano, vogliono anche loro il “gioco” che ha il loro compagno a casa, ci siamo persi la cultura del risparmio che i nostri papà e mamme ci insegnavano, rendendoci partecipi e complici dell’economia famigliare. E non aiuta la Tv che ci bombarda di pubblicità, dove tutto sembra a portata di mano. Abbiamo paura che i vicini si accorgano della nuova povertà in cui siamo caduti, abbiamo paura che lo vengano a sapere dai tuoi bambini, abbiamo paura perfno a confessarlo a noi stessi, risparmiamo sulla pizza ma il corso di nuoto deve farlo, anche se costa un occhio. L’Italia si sta davvero spaccando ma è difficile misurare l’agiatezza, come si crede, dai soli “beni” esteriori. Capace che si vada avanti addirittura per anni a sfoggiare per eccesso quello che si aveva, fno alla consunzione. Sono paure che non aiutano a rimontare, se i bisogni non emergono non si può neppure pretendere che qualcuno corra al soccorso.

    Il posto olmi

    ‘Il posto’ è un film del 1961 scritto e diretto da Ermanno Olmi. Premio della critica alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel pieno del boom economico dei primi anni sessanta, un ragazzo di Meda, Domenico, partecipa ad una selezione di lavoro presso una grande azienda di Milano. Selezione da pathos a causa della famiglia, che si aspetta da lui che riesca ad ottenere il posto fisso con cui sistemarsi per tutta la vita. Nel corso delle prove a cui viene sottoposto con gli altri candidati, conosce Antonietta, che si fa chiamare Magalì. Vengono assunti entrambi, ma poi assegnati a sedi diverse: lei al reparto dattilografa, in sede centrale, lui al reparto tecnico, in una sede distaccata, e lì, in attesa che si liberi un posto da impiegato, deve accontentarsi di lavorare come fattorino. Ostacolato dai turni differenti, Domenico spera di riuscire a rivederla almeno al veglione di Capodanno organizzato dal dopolavoro aziendale, ma lei non si presenta. La morte di un impiegato infine libera il posto per lui, che può sistemarsi alla sua scrivania, in fondo ad uno stanzone in mezzo ad altri colleghi, indifferenti o addirittura ostili verso il nuovo arrivato, che comincia a pensare se ne valga davvero la pena. Olmi descrive con onestà e senso della realtà il mondo del lavoro, in un film che racconta ‘la presa di contatto di Domenico, ancora integro nella sua fresca disponibilità e intelligenza, col desolato, intristito, squallido mondo impiegatizio’. Non fa nessuna denuncia sociale, lascia che sia lo spettatore a riflettere su quale sia il prezzo, concreto e ideale, che il giovane dal volto malinconico e smarrito dovrà pagare per aver conquistato, senza nemmeno troppa fatica, quel posto fisso. Non si tratta solo di una storia individuale, ma della transizione epocale di un’intera società: “I miei primi film – ha raccontato Olmi – sono storie sulla povertà ma in cui c’è sempre un po’ della storia del nostro paese. Il passaggio dalle società contadine a quelle operaie, o da queste alla nuova borghesia. Nel Posto lo si vede bene nella casa di Domenico, una cascina in cui non si lavora più la terra ed è diventata solo un dormitorio per gente che va a lavorare in fabbrica e in città. Tra poco in quelle stalle senza più animali avrebbero messo le Lambrette e le Seicento”. Per il Dizionario Mereghetti, ‘un film antispettacolare che, con ironica levità, offre un quadro acuto della condizione piccolo-borghese nella Milano degli anni Sessanta’.