Fino all’ultimo respiro

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Per anni in attesa dell’esecuzione i condannati a morte vivono in celle di cemento e acciaio con una luce al neon sempre accesa

Livingston, Texas, una cittadina della quieta provincia americana, 90 miglia dalla capitale dell’astronautica Houston. Un’incredibile grande barriera di filo spinato segna il confine con un mondo lontano come un altro pianeta, il luogo delle vite sospese del penitenziario Polansky Unit. All’interno, 447 detenuti attendono l’esecuzione della loro condanna a morte. Negli Stati Uniti i detenuti già condannati in attesa dell’esecuzione sono 3.697 ed il Texas vanta il triste primato con una media di 40 esecuzioni ogni anno. Tutte le carceri dure americane sono off-limits per un giornalista, ma dopo tre anni di estenuanti tentativi ecco che finalmente nel gennaio scorso ottengo l’autorizzazione ad entrare nel braccio della morte del Texas. Fa una brutta impressione attraversare tutto quel fi lo spinato. Prima si è setacciati a fondo, poi una pesante lastra di ferro si apre, scorre su binari e si richiude rumorosamente alle spalle.

Accompagnato entro in uno dei blocchi di cemento e acciaio; si percorrono lunghi corridoi e… il rumore dei passi, lo scorrere delle pesanti porte di acciaio, lo sbattere dei cancelli delle celle e la voce degli altoparlanti… quello è un non mondo. Non un colore, non un sorriso, non una musica. Poi la grande sala colloqui divisa tra il mondo dei vivi ed i condannati a morte, che lì, visitatori e prigionieri, possono divisi da una pesante lastra di vetro, comunicare le emozioni e sensazioni, ed attraverso l’interfono sentire la voce e scambiare i pensieri. Sono di fronte a Mariano Rosales, 66 anni, nel marzo 1985 uccide la moglie Mary e l’intera famiglia del suo amante. Da allora non è che la matricola 814. Chi mi accompagna, alza il braccio, tira su la camicia dal polso, mi mostra l’orologio e dice: forty fi ve minuts – 45 minuti – questo è il tempo che mi concede per l’intervista.

Ho di fronte un uomo sulla sessantina, pelle scura, messicano, scuri gli occhi ed i capelli, che mi sorride. Un breve saluto e poi l’intervista. Come è stare qui dentro? Sono colpevole ed è giusto che paghi per le mie colpe, ma nessuno può rendersi conto di cosa significhi vivere qui dentro, sei giù fisicamente, ti senti solo, ci sono detenuti che vorrebbero uccidersi, ma non è permesso. Ditelo in Italia: il modo in cui viene data la pena di morte è troppo semplice, e non serve a bloccare il crimine.

Perché sei finito in carcere? Ero ubriaco, mia moglie mi aveva lasciato. Io stavo impazzendo di gelosia. Non avrei mai pensato di essere in grado di fare una cosa del genere, di uccidere. Credevo di essere una persona forte… ero come impazzito. Sono entrato armato di pistola in quella casa, dove sapevo esserci mia moglie. Ho ucciso Patricia di 19 anni, sua sorella Rachele di 14 anni incinta di 7 mesi, il ragazzo di Patricia e poi sono arrivato in quella stanza dove ho trovato mia moglie Mary e Ector il suo amante… non capivo più niente.

Ho scaricato loro addosso i colpi che rimanevano. Come è la vita qui dentro, come ti trattano. Non vi hanno mai raccontato nulla del braccio della morte? E’ davvero un posto terribile dove vivere non è vivere. Riesco a sopravvivere, ad accettare tutto questo perché credo in Dio, in Gesù Cristo, ma è un posto dove stai 23 ore al giorno senza vedere fuori, senza vedere nessuno, solo muri tutto intorno. Possiamo uscire all’aria aperta solo 1 ora al giorno. Non ci sono contatti umani e anche quando usciamo abbiamo le mani legate dietro la schiena. C’è privacy, come sono le celle? Tutto è molto stretto, la cella misura 9 piedi per 10 (neanche 2 metri per 3 circa), il posto per un wc, una mensola che funge da tavolino e un letto. Dai muri si sente quello che succede nelle celle vicine.

Ci sono due aperture da cui le guardie possono vedere dentro. Cos’è che ti manca di più? Poter toccare ed abbracciare i miei fi gli e i miei due nipotini… non sono belli? -schiaccia contro il vetro le foto dei suoi nipotini- …non sono belli? -mi ripete piangendo. Come vivi l’attesa… Cerco di vivere senza pensare troppo al giorno della mia esecuzione. Cerco di essere forte spiritualmente e di pensare che le cose possono ancora fi nire bene. Comunque sono pronto a qualunque cosa Dio vorrà. Quindi c’è ancora posto per la speranza nel braccio della morte… Sì, non l’ho mai persa, credo in Dio ed aspetto di entrare in una vita migliore. Come ti senti ora? Quando un uomo è privato della sua libertà come lo sono io che sono rinchiuso da 20 anni, caro amico, anche solo venire qui e poter ammirare attraverso questo vetro il colore degli alberi e del cielo, mi fa sentire più vicino a Dio e mi da un po’ di speranza, perché anche un condannato a morte ha speranza. Mi alzo tutti i giorni con il rimorso per quello che è successo, ho sbagliato e prego i famigliari delle vittime di perdonarmi per ciò che ho fatto. Sento una mano che mi batte sopra la spalla, ho un soprassalto. E’ il guardiano che mi dice: “Finish!”. Saluto Rosales. Appoggio la mia mano al vetro e lui la sua. Ci salutiamo così, “grazie” gli dico, “adios” e lui mi risponde “scrivimi, scrivimi”.

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Per anni in attesa dell’esecuzione i condannati a morte vivono in celle di cemento e acciaio con una luce al neon sempre accesa. L’ora d’aria la passano in una stretta gabbia di ferro dove tra le sbarre di un soffi tto altissimo si vede il cielo. Il rimbombo delle serrature, gli specchi visori, i pulsanti elettrici, le luci elettroniche, suoni metallici e le guardie armate sono la vita inquietante di quel non mondo che sprofonda nel nulla i condannati a morte. Poco dopo sono di nuovo tra i “vivi”. Nonostante il largo consenso popolare verso la pena di morte, ribadito in tutti i referendum, ora la mentalità sta cambiando e più del 40 per cento degli americani si dice comunque contrario. E non sono pochi gli attivisti che si battono per la sua completa abolizione.

A Houston incontro David Atwood, fondatore del movimento contro la pena di morte in Texas: “La tragedia di questa vicenda è che esistono detenuti che stanno anche 25 anni nel braccio della morte. Il motivo per cui tanta gente è a favore della pena di morte credo sia una lunga storia di tradizione qui in Texas. I governatori l’hanno sempre applicata,viene presentata come un deterrente. Ma anche nel caso di persone colpevoli è una inutile brutalità … non avrei mai sospettato che potessero esserci degli innocenti nel braccio della morte, ma in questi anni ho scoperto anche questo. Se è vero che una democrazia dovrebbe proteggere i propri cittadini, allora non dovrebbe andare contro il diritto sacro della vita”.

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Le polemiche sulla legittimità della pena di morte nascono soprattutto dalla preoccupazione che la sentenza possa colpire un innocente. Non sarebbe del resto la prima volta. Nel gennaio 2004, dopo aver trascorso 23 anni nel braccio della morte, grazie al test del DNA, Nick Yarris è stato riconosciuto innocente: “Nessuno mi potrà risarcire della mia vita, il mio passato è perduto –mi dice Yarris piangendo – non c’è legge che prevede un mio risarcimento per ciò che mi hanno fatto, come posso pretendere giustizia se non c’è legge che mi tuteli. Recentemente il mondo ha potuto vedere le torture di Abu-Grybe, Charles Graner, ufficiale della Pensilvenia che si è macchiato di questi crimini, ha lavorato nel mio carcere… l’ho visto fare qui le stesse cose fatte in Iraq. Io ero innocente. Guardate cosa hanno fatto alle mie mani – e me le mostra alzandole – …vedete cosa mi hanno fatto?”

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Ancora David Atwood… “Abbiamo bisogno di fermarci e di rivedere il nostro sistema giudiziario. La corte Suprema dice che è un sistema che funziona ma che ci sono troppi errori. Quello che succede in Illinois, con il governatore Ryan , il fatto che abbia scoperto molti errori giuridici ed abbia sospeso molte esecuzioni è eclatante”.

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Chi difende la pena di morte chiama immediatamente in causa il suo valore di deterrente per i crimini più gravi. Ci si chiede allora perché negli Stati Uniti vengono commessi quasi 20.000 omicidi ogni anno che significa 1 omicidio ogni 12.500 abitanti, invece in Italia dove la pena di morte non c’è, abbiamo 1 omicidio ogni 93.000 abitanti? Nel gennaio 2003, George Ryan, alla fi ne del suo mandato, ha commutato in ergastolo le condanne a morte di 167 detenuti e graziato altri 14 a suo giudizio innocenti. L’ho incontrato a Chicago: “Quando nei primi anni ’70 iniziai la mia carriera politica ero a favore della pena di morte. Poi diventai governatore dell’Illinois e dovetti analizzare alcuni casi di detenuti nel braccio della morte, tra cui la vicenda di Antony Bore che doveva essere giustiziato da lì a poco, aveva passato 16 anni nel braccio in attesa dell’esecuzione. Un gruppo di studenti scoprì il colpevole e Bore venne liberato 24 ore prima di essere giustiziato. Questo mi fece acquisire una nuova prospettiva sulla pena di morte e decisi di analizzare… Il sistema giudiziario nello stato dell’Illinois ha delle falle. 26 persone sono state condannate a morte e poi si è scoperto che erano innocenti. 14 sono state scarcerate ma 12 sono state giustiziate. 26 persone condannate a morte innocenti. Capite? E’ un pessimo sistema e penso che l’Illinois non sia l’unico stato dove si incappa in errori giudiziari.”.

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“Non è vero che la pena di morte è riservata alla gente che ha commesso i crimini più feroci – dice Suor Helen Preyan, autrice del libro da cui hanno tratto il fi lm Dead Man Walking – in realtà è riservata a povera gente perché tutte le 3600 persone che sono nel braccio della morte incluse quelle del Texas, sono tutte povere. E’ vero che hanno commesso terribili crimini, quando vai a vedere le ragioni a volte bisognerebbe riflettere, ma loro non possono pagare il grande avvocato e ricevono una difesa miserabile che non permette di beneficiare dei vantaggi previsti dalla Costituzione per i processi giusti”.

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A 40 miglia da Livingston, ad Huntsville, c’è un vecchio grande edificio di mattoni rossi, monumento nazionale, costruito nel 1848; è un carcere di massima sicurezza ed è l’ultimo edificio che vedono i condannati a morte del Texas alla fi ne del loro viaggio. Lì trascorrono l’ultima notte prima dell’esecuzione. Il giorno dell’esecuzione, le ore sono scandite da uno schema obbligato: -Mattino colloquio con il cappellano; -ore 12.00- ultimo pasto; -ore 14.00- ultima telefonata; -ore 15.00- visita della guida spirituale e dell’avvocato; -ore 16.30- passaggio per il miglio verde; -ore 18.00- iniezione letale. Accompagnato dalle guardie e dal cappellano il condannato a morte percorre un lunghissimo corridoio tra sbarre di ferro ed in fondo si apre una porta che dà accesso alla stanza della morte.

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“Tutti sappiamo di dover morire – mi dice il cappellano O’Bryan – ma nessuno sa quando. Questa è la grande differenza rispetto ai condannati a morte. E’ molto duro vedere una persona morire e vederla morire con il cronometro in un’ora stabilita”.

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Don Guido Todeschini che ha vissuto l’esperienza di accompagnare fi no all’ultimo un condannato, mi racconta gli ultimi momenti: “Verso le 17.30, l’esecuzione era per le 18.00, arriva un’altra guardia e dice: andiamo. Allora attraverso un corridoio stretto entriamo nel buio prima e poi siamo introdotti in una specie di piccolo antro dove si arriva a questa vetrata e dove nello squallore di una cella, steso su un patibolo, altroché lettino, io dico che mai chiamiamo letto la croce… la croce è croce e quella li è una croce. Era già steso e legato ai piedi e alle mani. Come disse al guardiano sono pronto, il guardiano ha dato il via. Noi non abbiamo visto coloro che hanno premuto i pulsanti per le tre iniezioni, perché tre sono state le iniezioni. La prima è una specie di sonnifero, la seconda è un veleno che va ai polmoni, la terza è un veleno che spacca il cuore. Il tutto in brevissimo tempo. Eravamo stati preparati a queste tre iniezioni, lo psicologo, il medico ci avevano spiegato come sarebbe avvenuto, probabilmente anche perché non ci impressionassimo certo è che come lui ebbe finito di parlare lui rimase, si vedeva proprio così, con gli occhi rivolti al cielo.

Ci siamo accorti che era arrivata l’iniezione ai polmoni quando ad un certo punto egli fece un gesto: Mmmmmm ed emise un rantolo. Così e tutto si sentì perché c’era il microfono aperto sopra il suo capo e noi avevamo l’altoparlante, poi io guardavo… non si è più mosso. Dopo qualche minuto entrò una persona vestita di nero, seppi che era medico perché portava anche gli aggeggi del medico. Allora controllò il cuore, i polmoni, aveva una piccola pila in mano apri gli occhi andò dentro, ha chiuso gli occhi, ha fatto così con l’orologio:18.24. Detto questo uscì, era la dichiarazione di morte”.

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Dietro una parete di vetro i parenti delle vittime del reato e i testimoni assistono… nel nome di un diritto riconosciuto dal fondamentalismo biblico che è alla base del sistema giudiziario americano. E poi i cadaveri vengono sepolti nel campo del carcere; è un luogo chiamato il cimitero dei criminali, dei condannati a morte. Un grande campo dove ci sono centinaia di croci di pietra e su quelle croci ci sono i numeri, non c’è il nome e il cognome, c’è la matricola.