QUANDO I PROFUGHI dei “lampa-lampa” fanno I PROFESSORI

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Questa è una storia al contrario. Nel senso che qui il contrario è che ad insegnare sono i… profughi. E insegnano a noi italiani. Corsi di inglese e francese. Aperti a tutti. E gratuiti. Per imparare direttamente da… madrelingua. E allora siamo venuti qui. A Villa Jesus nel cuore di Castione della Presolana. Ultimo domicilio conosciuto per… profughi. Una mattina piovosa di fine ottobre. 56 profughi arrivati da Ghana, Nigeria, Gambia, Bangladesh e altre zone dell’Africa, sino a qualche settimana fa erano 53, poi ne sono arrivati altri tre. Sotto la tettoia dell’entrata tre ragazzi guardano la pioggia scendere e chiacchierano fra loro. Dentro altri ragazzi insieme ad alcune donne volontarie del paese fanno le pulizie. Spazzettone e straccio e pavimenti da lucidare. In una stanza un gruppo di ragazzi sta assistendo a una lezione di italiano, oggi vanno in scena i verbi della prima coniugazione, al lavoro Susanna Camilli, che se la cava egregiamente sia sul fronte didattico che su quello della… disciplina. Studenti attenti e cartelloni e tabelloni con scritte e frasi, ci sta anche ‘voglio trovare la fidanzata’, a cui qualcuno ha aggiunto un ‘non’: “Perché lui – Susanna indica un ragazzo – è sposato e quindi non ne ha bisogno”. Sorride. Qui si fa lezione suddivisa per livelli, i ragazzi di questo corso sono quelli che già se la cavano abbastanza bene con le lingue e l’italiano un po’ cominciano a masticarlo, e si dividono in due gruppi: inglesi e francofoni.

Poi toccherà agli altri, semianalfabeti e analfabeti. Vari livelli. Tutti con lo stesso obiettivo: imparare l’italiano. I ragazzi ci guardano, in questo corso arrivano quasi tutti dalla Nigeria, tranne un ragazzo che arriva dal Bangladesh, raccontano di un viaggio interminabile attraverso terre che sembravano non finire mai per poi salire su quelle famigerate ‘lampa lampa’, li chiamano così i gommoni-barconi che sfidano il mare e la sorte. “Lampa lampa, con 100, 120 persone sopra, troppe”, già, troppe. Senza bagni, senza niente, con il tetto come cielo e qualche stella a cui affidarsi nei momenti, tanti, troppi di disperazione. (…)

E c’è un commento del nostro direttore.

SU ARABERARA IN EDICOLA PAGG. 2-3

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