“Tra le battaglie Omero nel carme tuo sempre sonanti/ la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra ‘l sonno…”(Carducci). E tra sogni e pensieri cerco di conciliare i propositi di leggerezza con l’evidenza che gli arroganti, i furbi, i mestatori, gli imbecilli e gli imbonitori non vanno mai in ferie. Le malinconie estive sono le peggiori, che nemmeno le si può raffreddare. “Odio l’estate (…) piena di un amore che è passato”. Passati gli amori, resta solo l’odio, che traduciamo nei rapporti di forza, un insulto può costare la vita. Distrattamente finisce in cronaca uno che esce dalla discoteca e ammazza con la sua protesi di potenza, l’auto, due ragazzi. O quegli altri che seminano il panico in discoteca per vedere l’effetto che fa e si salutano con un “ciao assassino” con annessa risatina di orgogliosa appartenenza al branco. La cronaca piegata all’interesse politico, come l’indicare l’assassino di un carabiniere in un “profugo africano” con una gaffe istituzionale epocale che tuttavia non cambia un’opinione, non provoca un dubbio, non sposta un voto, per non avere i balordoni della perdita di identità precaria di appartenenza. Così sono nate un tempo le “adunate oceaniche”. “All’alba verranno a domandarmi venti chili di riso, non so se glieli darò mi sento veramente indeciso, forse li accoglierò con la vestaglia turchese rendendo baci per le offese” (Vecchioni).Usciamo di casa e non si sa se ci torneremo illesi. Forse è per questo che passano i decreti sicurezza, ognuno padrone di vita e di morte a casa sua, chi va per strada lo fa a suo rischio e pericolo (che qualcuno gli spari dalla finestra della casa accanto fraintendendo le intenzioni).
No che non ci sono più le estati scanzonate di una volta, di quando la sera, nascosti dietro i cespugli si andava a corteggiare le belle villeggianti che mostravano le gambe, lanciando sassolini “affettuosi” (nelle intenzioni perché seguivano urla di protesta) invece dei classici fiori che non avevamo soldi per comprarli e scarseggiavano perfino i fiori di campo al tempo in cui l’erba verde minacciava di diventare davvero paglia se lasciata sul prato alla mercé dei temporali. La natura sembra essersi arresa. A noi. Ci diranno che non si può più vivere in tempi così stupidi, nel goffo e inconsapevole (o no?) tentativo di un frettoloso suicidio di massa, con quella foto impietosa presa dal satellite in cui si vedono i ghiacciai sciogliersi e sopra il pianeta ci sta una cappa giallognola di veleni
Discoteca e vite perdute, Non conta più niente, l’aldilà forse nemmeno c’è, paradisi e inferni aboliti, solo l’hic et nunc, i conti non tornano, i sentimenti non contano, si contano i soldi, ecco una cosa che conta davvero (aldilà di avere due Conti in pagina, quello del governo e quello dell’Inter). Sulle spiagge, appena salutato Salvini, sono tornate a sventolare le bandiere rosse (del mare burrascoso), e sul ponte (quello distrutto di Genova, ma anche su quello metaforico di unità tra due sponde, due opinioni, due nazionalità) sventola bandiera bianca.
E all’improvviso ecco la grandine e poi il caldo africano che hai voglia di tenere i porti chiusi, avanzano i deserti (sempre da foto dall’alto) compreso il deserto delle illusioni, trombe d’aria, a fulgure et tempestate libera nos Domine, ma nemmeno domineddio ci libera dalla grandinata quotidiana di scemenze su facebook.
Hanno messo un po’ ovunque panchine giganti che poi, quando siamo riusciti faticosamente a scalarle, in fotografia sembriamo Gulliver aBrobdingnag, noi minuscoli nella terra dei gigantioppure simili allo stesso protagonista del romanzo quando viene portato a Laputa, dove può vedere in anteprima il mondo portato alla rovina dalla scienza che si legittima da se stessa, ignorando etica e morale.
E viene voglia di “una giornata al mare, solo per non morire / nelle ombre di un sogno / o forse di una fotografia / lontani dal mare / con solo un geranio e un balcone” (Paolo Conte).
O di rifugiarsi in ricordi di estati d’antan, piene di speranze e illusioni, odori forti di creme solari, di cocco bello, cani bagnati, sudori aciduli, alghe e conchiglie, sabbia bollente, conte fiacche, donne grasse e debordanti o magre impiccate da passerella, vene varicose, pancette prominenti, zoccoli, asciugamani e castelli di sabbia e molti, troppi, castelli in aria. “Passar le care imagini, disparvero lievi co ‘l sonno…” (finale di “Sogno d’estate” di Carducci). Mattia gioca a ping pong con gli amici e la pipa si è spenta.
Già, le malinconie estive sono le peggiori.