Quasi le 11 di un giovedì mattina. C’è il sole ma Paolo tiene la berretta ben calata in testa, berretta atalantina, da ultrà, sul collo si intravede la scritta ‘ultras’, e sotto il giubbotto quasi fosse la ‘maglia della salute’, ha la maglietta dell’Atalanta, quasi a scaldare il cuore nerazzurro. Paolo è un ultrà, se non si era capito, di quelli che vengono additati da molti come fossero teppisti o delinquenti. E allora abbiamo provato ad entrare nel mondo degli ultras direttamente dal dentro, coi loro occhi e il loro cuore, con le loro teste e le loro parole. Senza giudizi o pregiudizi. Gli ultras raccontano gli ultras.
L’idolo Doni? Per noi è morto
Paolo ha 31 anni e una bimba di 7. I suoi due affetti sono questi, le sue due passioni sono queste: l’Atalanta e Lisa. Il resto può attendere. “Sono ultrà da sempre. Ho cominciato ad andare allo stadio a 5 anni, con degli amici di mio padre, mi portavano loro, a mio padre invece non gliene fregava niente, in tutta la sua vita ci sarà andato una volta”. Il papà adesso non c’è più, è morto qualche anno fa. L’Atalanta invece c’è sempre, nel cuore e sulla pelle: “Ad andare da solo allo stadio ho cominciato a 12-13 anni, mi accompagnavano all’entrata e poi me ne andavo in curva da solo, lì ho conosciuto gli ultras e il tifo”. Vent’anni di stadio: “Mi piaceva un sacco Saurini. E poi naturalmente Doni, fino a quando non ha combinato quello che fatto, e da allora per noi non esiste più. Era il mio idolo, appena è uscito lo scandalo del calcio scommesse per me l’idolo è morto. Doni non c’è più”.
In 600 alla cena di Natale
Paolo racconta gli ultras, il suo mondo, quello che condivide per 354 giorni all’anno: “Dalla cena di Natale in 600 al ‘covo’ alle domeniche allo stadio” e alle interminabili estati dove non succede niente tutto il giorno perché non c’è il campionato. “Chi siamo noi ultras? siamo gente normale. Sono i giornali che ce l’hanno con noi, ma nemmeno ci conoscono, ci sbattono in prima pagina come mostri senza che abbiamo fatto nulla di male”. Qualcosa di male però ogni tanto succede… “Ma per 4 o 5 cretini che non c’entrano con noi, qui solo per il fatto di indossare una maglietta dell’Atalanta rischi di prenderle o di ritrovarti dentro senza aver fatto nulla”.
Il nostro “covo”
Paolo il martedì è di casa al ‘covo’: “E’ il ritrovo di noi ultras, ci si ritrova lì, zona Campagnola, ogni martedì sera, viene chi vuole, si beve una birra in compagnia e si preparano le coreografie o gli striscioni per la partita. Si sta insieme, si fa aggregazione e ci si diverte. Senza nulla di male”….
(p.b.) Nell’attesa che il Tribunale di Bergamo dia la sua sentenza valutando la richiesta di sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in città per tre anni per Claudio Galimberti, chiamato da tutti il “Bocia” avanzata dal pm, rivoltiamo la medaglia. C’è il fenomeno che l’ex direttore generale dell’Atalanta Pierpaolo Marino (e non ha più alcun interesse a parlare per la società) definisce “profumato di calcio antico fatto di fede e passione incrollabili. La “Regina delle provinciali” che un tempo vedeva conteso il titolo solo dal Lanerossi Vicenza, poi sprofondato in serie minori, ha effettivamente contribuito a rendere vivo il senso di appartenenza di una provincia peraltro frastagliata socialmente ed economicamente tra valli, convalli, colline e pianura. Le generazioni a venire, fatte di “ragazzi dell’Europa” cambieranno tutto. Il calcio praticato dai ragazzini negli oratori, nei cortili, per le strade è già praticamente scomparso. La Curva Nord, con l’aggregazione settimanale di migliaia di tifosi, è a suo modo un fenomeno che, come sostiene quel parroco del mantovano, è potenzialmente “una enorme risorsa che avrebbe bisogno di stima e guide spirituali”. Nessuno ci ha provato, anche, bisogna riconoscerlo, per una sorta di impermneabilità del gruppo stesso. Ma la sorpresa, l’altra faccia degli ultras, sono le loro iniziative di sostegno a malati e bisognosi, i fondi che raccolgono e distribuiscono per la pediatria, il sostegno per i terremotati che, finiti i riflettori dell’evento, sono abbandonati da tutti ma non da loro, non dai ragazzi della Curva Nord. Le due testimonianze che riportiamo, provenienti dal mantovano e da L’Aquila, non possono essere rubricate come interesse locale a sostenere “i guerrieri della domenica”, figli della nostra provincia, magari illusi di essere gli ultimi highlanders della bergamaschità, portatori più o meno sani di una fede sportiva che rischia, come tutte le fedi in questo mondo di relativismo totale, di farsi setta, con i difetti di ogni setta, che si crea nemici per rafforzare la propria identità. Proponiamo quindi, al netto delle singole responsabilità individuali, l’altra faccia (vocabolo ricorrente sia nell’intervista a uno degli ultrà venuto in redazione sia nella lettera del campione di rugby) degli ultras….
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