attori ed esattori

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    (p,b.) Ho fatto il sindaco di un Comune scalvino, a rigore italiano, per tre mandati consecutivi. Uno dice, hai esperienza. No, non riconosco più il ruolo, e nemmeno il metodo di scelta dei candidati. Succede non solo a Roma e Milano dove i candidati sono stati scelti dall’alto (e non raccontatemi delle primarie…) ma anche nei nostri paesi. Già nella passata tornata le scelte sono state fatte a tavolino, con crisi successive (vedi Alzano, ma anche Casnigo, tanto per non stare nel vago). Diffido di chi si definisce “manager” che è termine talmente generico da mascherare il nulla con un termine all’inglese, come usa adesso. Manager di che cosa in un mondo in cui gli economisti di mestiere non ne azzeccano una, i banchieri si fanno gli affari propri e (in buona compagnia con altri settori) mandano in rovina le rispettive aziende uscendone con prebende milionarie. Ma adesso per fare i sindaci scelgono appunto questi presunti salvatori dei conti, fregandosene del fatto che un Comune non è un’azienda, perché asfaltare una strada è “buttare i soldi in terra” ma va fatto anche se non c’è alcun ritorno economico, fare una scuola nuova richiede milioni ma non c’è ritorno perché la produttività dipenderà dagli insegnanti e l’edificio fa solo da supporto. E così via. Alla gente resta l’impressione che un sindaco comandi su tutto. In realtà non ha più competenza sul ciclo dell’acqua (acquedotti, fogne e depuratori), non c’entra più nulla su igiene e sanità, sulla scuola non può mettere becco, sui rifiuti nemmeno, sui servizi sociali deve delegare perché non ha il becco di un quattrino, ha i bilanci bloccati da vincoli di spesa (Patti di stabilità & c), ha le entrate decurtate dalle quote da passare allo Stato. Ho vissuto l’epoca del “partito dei sindaci” che aveva spaventato la politica. Che si è presa la rivincita, tornando a un centralismo partitico (ogni partito ha il suo leader-dictator) e politico-burocratico. Ha ragione Ilvo Diamanti: i sindaci sono passati da attori a esattori.