Era la quinta (o la quarta) ginnasio la “sua” classe come “prefetto”. Dalla teologia era sceso al ginnasio sulla scala di pietra che portava in basso, dopo aver percorso il ponte dei sospiri che divideva il seminario allora bypassando via Arena che proseguiva poi per sfociare in Colle Aperto. Era il vecchio ginnasio, e la nostra aula aveva al suo interno una cancellata di ferro che portava nel sottosuolo da cui di quando in quando spuntava il muso di qualche topo che metteva in subbio la classe e il chierico Tarcisio, non ancora “don” cercava di riportare l’ordine. Non alzava mai la voce, era pacato e perfino bonario nei rapporti con noi quindicenni. Dalle aule fosche, sempre la luce accesa, si saliva ai dormitori che già era cominciato il “grande silenzio” rotto solo, quando si accendeva la luce, dalla fuga in massa dei topi che aveva assalito la grande cesta dei rifiuti post al centro della vasta, fredda e buia camerata. Era il vecchio seminario, che fu abbattuto l’anno dopo. La sua Dorga. Andammo a trovarlo durante le vacanze nella sua casetta. Era una persona talmente gentile che quando arrivò il nuovo Vescovo, mons. Clemente Gaddi e sapemmo che lo aveva scelto come “segretario” ci sembrò anche quello un segno conciliare, il passaggio cioè dalla ieraticità ormai datata di un Vescovo come Giuseppe Piazzi, al rapporto cordiale e poco formale del nuovo Vescovo Gaddi. Anche in quella funzione don Tarcisio era rimasto il nostro “Prefetto”, sempre disponibile e sempre attento a smussare le angolature troppo acuminate di chi tra noi risentiva di un clima che era cambiato ancor prima che arrivasse la ventata sessantottesca.
L’ho rivisto qualche anno fa per un’intervista a casa sua, sempre a Dorga. Era rimasto pieno di quella affettuosità composta che ha caratterizzato il suo ministero.
Festeggiava il suo 50° anno di ordinazione sacerdotale. Era il 2012. Riportiamo parte di quella intervista…
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