Eravamo felici e non lo avevamo capito

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    Le foto degli arcobaleni con la scritta ‘ce la faremo’, ‘andrà tutto bene’ arrivano come biscotti al plasmon nel latte al mattino quando ero piccola, sono la mia base per ricominciare. Alla fine in questo marzo che doveva essere primavera ma ha preso troppo alla lettera la parola ‘Quaresima’ ogni alba è un viaggio verso un ignoto che ha come sottofondo sirene di ambulanze, notizie che snocciolano numeri di morti e ricoverati come fosse una roulette russa ma anche improvvisi lampi di speranza con colonne sonore di Inni di Mameli. Guardo in alto verso non so dove. Eravamo felici, e non lo avevamo capito. La foto di una donna anziana mi arriva via mail, chiedono una memoria, i funerali non ci sono e la gente se ne va cosi, senza un abbraccio, una pacca sulle spalle, un ‘vedrai che ce la faremo’, quel silenzio assordante del nulla che esplode dentro e fa un casino pazzesco. Vedo quel volto e lo riconosco, passava di qui ogni tanto. Come lei ha preso la via del cielo tanta gente che conoscevo, partiti tutti insieme, come una campanella sul fine scuola che ti giri e non fai a tempo a salutarli perché sono già sul treno delle vacanze… eterne. E io resto qui. Per ora.

    Eravamo felici, e non lo avevamo capito. Cancello le mail vecchie per alleggerire la posta che è quasi piena, mi capita una lettera di una donna della valseriana, che lavora nelle amministrazioni, una donna con cui mi sono confrontata, ho litigato, fatto pace, gioito, incazzata e poi di nuovo gioito, in questi giorni ha un tubo in gola e cerca respiro come io cerco questa maledetta primavera. E il battito del cuore si trasforma in tamburo, sempre più forte, a cercare quelle litigate come fosse adesso manna e non impiccio.

    Eravamo felici, e non lo avevamo capito. Apro l’agenda per segnarmi un appuntamento che mi ero dimenticata e sul giorno di oggi scopro un pranzo che avevo messo li da tempo, con una persona che non posso vedere, che sta lottando per altro, e ricordo che quando ho segnato quel pranzo avevo brontolato un sacco, non avevo voglia e ora lo vorrei come fosse ossigeno per il mio cuore.

    Eravamo felici, e non lo avevamo capito. E mi manca la sveglia al mattino e le urla a Mattia che non si alza che fa tardi a scuola. E la corsa a calcio che devo scrivere e sono in ritardo e devo portarlo. E mi mancano le urla di quella nonna quando passavo in auto troppo forte e la sua foto l’ho incrociata tra le memorie che mi sono arrivate via mail. E mi manca perfino la discarica al sabato dove portare le sterpaglie che la mia mamma si ostina a tagliare in giardino.

    Eravamo felici, e non lo avevamo capito. Ma poi torno a casa nel silenzio di strade vuote. Faccio una doccia per sentire almeno la mia pelle viva e il caldo che mi accarezza il cuore. E incontro ancora lo sguardo di chi cammina con me. E sorrido.

    Eravamo felici, e non lo avevamo capito. Già. Ma quando torneremo ad esserlo ce ne accorgeremo subito. E sarà li la differenza. Sarà li la felicità.