E’ morto Luis Sepúlveda, le parole di carne della letteratura tra l’America Latina e la Spagna
Era tutto quello che le parole possono diventare, esule politico, guerrigliero, ecologista, viaggiatore, narratore senza confini. Se ne è andato in un’ospedale delle Asturie, anche lui per Covid 19. Aveva 70 anni ma il tempo per lui era davvero poca cosa. Il ritatto più bello di Luis lo ha appena scritto Repubblica: “esordì con un racconto bollato come pornografia dal preside del suo liceo, a Santiago del Cile. “Era il ’63. Ci innamorammo tutti della nuova professoressa di storia. La signora Camacho, una pioniera della minigonna”. Un compagno di classe gli chiese di scrivere una storia su di lei. Quindici-diciotto pagine. Finirono nelle mani del preside: “Questa è pornografia”, gli disse. Provò a replicare: “Letteratura erotica”. “Pornografia – tagliò corto – ma scritta molto bene”. Raccontava così Sepúlveda, pescando dal cilindro l’ennesimo saporito aneddoto quando di lui i lettori pensavano di conoscere già tutto: i lineamenti forti da guerriero stanco, gli occhi scuri che si accendevano di passioni, l’odore delle tante sigarette fumate. E lo faceva con quel talento da affabulatore che lo rendeva prima ancora che un abile scrittore, un inguaribile cantastorie. Scriveva favole Sepúlveda – e non ci riferiamo solo alla deliziosa Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare – ma ai tanti romanzi al cui centro c’era l’eterna lotta tra il bene e il male. Non amava la cronaca puntigliosa, credeva che la letteratura fosse finzione e intrecciava i fili della narrativa per dare vita a personaggi picareschi e trame avventurose inzuppate di passioni e ideali. I suoi ovviamente, quelli per cui aveva lottato, viaggiato e infine scritto”. Il suo romanzo d’esordio Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, dedicato a Chico Mendes regalò ai lettori un primo pezzo della sua intensa vita: sette mesi trascorsi nella foresta amazzonica con gli indios Shuar. “Nel 1977, espulso dal Cile dopo due anni e mezzo di carcere, si era unito a una missione dell’Unesco per studiare l’impatto della civiltà sulle popolazioni native. Nacque così una storia sospesa tra due mondi, quello degli indios diffidenti nei confronti dei bianchi (cacciatori di frodo, cercatori d’oro, avanguardie dell’industria più feroce) e quei bianchi che al protagonista avevano insegnato a leggere dandogli così un rifugio per la perdita della giovane moglie”. E poi un capolavoro dietro l’altro ‘Il mondo alla fine del mondo’,
La frontiera scomparsa dove i racconti che compongono il libro seguono le tappe di un cileno che dalle prigioni di Pinochet ritrova la libertà attraversando l’Argentina, la Bolivia, il Perù, l’Ecuador, la Colombia, in treno o su veicoli di fortuna fino a Panama dove si imbarcherà per la Spagna. La lampada di Aladino: tra mercanti levantini e angeli vendicatori, due giovani condividono le lotte del movimento studentesco e si ritrovano dopo gli anni della dittatura cilena e l’espatrio. In altre parole: la sua storia d’amore con la poetessa Carmen Yáñez. La loro relazione affiorò anche nel noir Un nome da torero. Il protagonista, che si chiama Juan Belmonte come il celebre torero che si suicidò con un colpo di pistola, è un ex guerrigliero cileno di quarantaquattro anni, che accetta di dare la caccia a un tesoro nazista nella terra del fuoco solo per amore di Veronica, una donna torturata dai militari e ritrovata viva, ma in condizioni psicologiche disastrate, in una discarica di rifiuti a Santiago. E poi Diario di un killer sentimentale, l’Incontro d’amore in un paese in guerra. L’ombra di quel che eravamo, una storia di amicizia e speranza tra assalti alle banche, vecchi giradischi, un rocambolesco omicidio e un’ultima spregiudicata azione rivoluzionaria. In una notte piovosa a Santiago, quattro uomini che si erano persi di vista per più di trent’anni si ritrovano per un’ultima avventura. Parole di carne, che ti entrano dentro, ti fanno sbattere l’anima di emozioni. Anche quando non ci sei più.