Marzo 2020 – Il Coronavirus e Nembro, il paese più colpito della Bergamasca

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“Vai a Nembro? Ma no, non andare… ma lo sai che laggiù prendi il Coronavirus? E poi, non ci sarà in giro nessuno, perché tutti saranno chiusi nelle loro case…”. In un bar della Val Cavallina, seduto davanti ad una tazza di cappuccino, mi viene detto questo dalla giovane cameriera, dopo che le ho detto “sto andando a Nembro”. Sì, Nembro, il Comune bergamasco più colpito dal virus importato dalla Cina. Da quello che un tempo era definito “Celeste Impero”, il Covid-19 è sbarcato (o meglio, è atterrato) nel “Bel Paese” e sulle sponde del Serio ha posato le sue tende lasciando sul campo , decine di contagiati e, purtroppo, alcuni morti. Attraverso la Val Rossa, passo per Cene e Pradalunga, poi, finalmente, ecco Nembro. Ecco la “zona arancione”, quella che per molti è l’area più pericolosa della Bergamasca. E poi… sorpresa. Dopo aver parcheggiato l’auto all’inizio della centralissima Via Mazzini, ecco la gente. Sì, la gente. Ma come? Ma i nembresi non dovrebbero starsene chiusi in casa, davanti al televisore o al computer, scaldandosi accanto alla stufa a pellet o al caminetto? E invece no. In questa mattina nuvolosa di inizio marzo la principale strada di Nembro non è vuota. E di persone con la mascherina non si vede neanche l’ombra… almeno per ora. I nembresi e il virus Dopo alcune decine di metri fermo un uomo di mezza età. Pensavo di trovare strade deserte e invece… “Sì, c’è un po’ meno gente del solito, ma di persone in giro ce ne sono comunque molte… e ci mancherebbe! Non possiamo chiuderci in casa per settimane intere… la vita continua… e deve continuare. E poi, non è vero che se vai in giro ti becchi il virus. Va bene la prudenza, ma non possiamo vivere come sepolti vivi… Certo che non mi metto a baciare tutti quelli che incontro per strada, ma non vedo l’ora di poter fare quel gesto bellissimo che è la stretta di mano. Ecco, questa epidemia mi ha fatto riscoprire l’importanza di quel gesto…”. Il cinquantenne fa però una sottolineatura: “L’unico mio timore riguarda mio padre, che ha 88 anni. E’ in gamba, ma gli ho detto di uscire il meno possibile…”. Gli anziani. Sono loro le vittime preferite dal virus. Ed ecco che, passando accanto alla casa di riposo nembrese, incontro una signora. “E’ chiusa, in questi giorni non si può entrare per non portare dentro il Coronavirus. Io ci vado ogni mese perché ci sono la mia zia e una mia cugina. Mi spiace non poter andare a trovarle in questo periodo, ma è meglio così. Pensi se uno facesse entrare il Coronavirus…. poveretti…”. Lei, signora, non ha paura? “No. O meglio, diciamo che ho un po’ di paura ma…. ci convivo. Certo che non sono di quelli che hanno assaltato i supermercati… Esco di casa, vado al bar e a fare la spesa, se vedo che il negozio è pieno di gente rimango fuori un momento. Mi sembra che anche gli altri facciano così…”. Ecco un’anziana. “Mio figlio ha il Coronavirus”. Davvero? “Sì, è stato a fare una visita all’Ospedale di Alzano un paio di giorni prima che venisse chiuso il Pronto Soccorso. E’ da qualche giorno che ha la febbre, ha chiesto che gli venisse fatto il tampone, ma non glielo fanno. Mah…”. Quindi non è certo di essere positivo… “Sì, ma secondo me ce l’ha, ma non siamo preoccupati perché mi ha detto che è come una febbre, solo un po’ più forte”. E lei non ha paura? “Mio figlio mi ha detto: ‘mamma, per qualche giorno non venire a trovarmi’. E io obbedisco…”. L’anziana nembrese sorride e si allontana. Ecco una coppia che passeggia tenendosi a braccetto. Lui porta la borsa della spesa e ascolta la moglie che sta parlando. Signori, pensavo di trovare una Nembro deserta, ma invece… “Mezz’ora fa c’era anche più gente – risponde lui – è giusto continuare a vivere, magari con qualche precauzione. Ad esempio, là in fondo c’è il panettiere e all’esterno c’è un sacco di gente che aspetta. Giustamente non stanno dentro tutti dentro in un luogo chiuso. E’ stato anche chiuso il bar degli anziani…”. “Siamo preoccupati – interviene la moglie – perché alcuni sono morti. Il nostro sindaco è positivo e anche alcuni medici. C’è un po’ di allarme in paese, perché non è una cosa da prendere sotto gamba, ma è anche vero che non si può vivere nel terrore. E poi, uscire a prendere un po’ d’aria, secondo me, è meglio che starsene al chiuso…”. Entro in un negozio di abbigliamento. C’è solo la titolare. “Da quando c’è questo contagio, qui sono entrati pochi clienti. Purtroppo c’è un forte calo delle vendite… speriamo che passi presto…”. Nell’edicola del centro storico i clienti entrano ed escono. “C’è un po’ meno gente del solito per strada – dice l’edicolante – ma, nel complesso, non c’è male. La gente esce di casa, c’è un po’ di preoccupazione, ma si reagisce. Mi sembra che sia più fuori Nembro che si veda il nostro paese come un luogo… pericoloso. Poi, se lei passasse di qua nel pomeriggio la strada sarebbe quasi deserta…”. “Leone fifone” Arrivo in Piazza Umberto e c’è un piccolo “assembramento” di uomini. Ridono e scherzano. Un pensionato dice: “Non si possono celebrare le Messe, ma potrebbero anche farlo, perché di grandi assembramenti in chiesa non ce ne sono quasi mai…”. Interviene un altro: “Al massimo si può tralasciare di darsi il segno della pace”. “La mia mamma è in lutto – sorride il più giovane della compagnia – perché non può andare a Messa, però la ascolta alla radio. Le ho detto: ‘senti Radio Maria, che è come andare in chiesa’, piuttosto di rischiare di beccarsi il virus…”. Si parla del più e del meno e, ad un tratto, attraversa la strada un anziano con la mascherina… la prima mascherina che vedo nella Nembro arancione. Viene accolto dagli amici con tanti sorrisi. Sì, perché sulla mascherina c’è la scritta: ‘Leone fifone’. Gli amici lo prendono in giro. Uno mi dice: “La settimana scorsa, nei primi giorni in cui si parlava dell’epidemia, qui c’è stato il panico. C’era gente che ha comprato montagne di cibo e di acqua all’Esselunga e negli altri negozi di alimentari. Ho saputo che un macellaio lunedì 24 febbraio ha incassato 2.800 euro in una sola mattina… cose da pazzi”. Intolleranza verso i nembresi Entro in un bar. La titolare porta i guanti. “Sì, per le banconote. Noi continuiamo a lavorare perché non si può chiudere tutto, anche se dobbiamo fermarci alle 6 di sera. Comunque, da quando c’è la paura del virus qui entra meno gente”. La barista parla poi dell’atteggiamento di freddezza e di intolleranza che molti hanno maturato nei confronti di chi vive a Nembro. “Una mia cliente, che lavora nella zona di Bergamo, mi ha raccontato che il suo datore di lavoro le a detto di stare a casa in ferie. Questo perché i suoi colleghi d’ufficio hanno paura di essere contagiati da lei… solo perché è di Nembro”. Più persone mi hanno parlato con disappunto di questo atteggiamento negativo nei confronti dei nembresi. “Sembra che siamo tutti appestati”, dice uno. “Ci guardano in cagnesco proprio come si fa con i cinesi”, dice un altro. “Pensi – racconta un anziano – che l’altro giorno sono stato dal dentista, fuori paese. Appena entrato, subito dopo il buongiorno, mi ha detto: ‘Lei è di Nembro… allora si lavi le mani’. Mi sono un po’ offeso…”. Incontro poi un mio conoscente, che mi racconta cosa gli è capitato: “Mi trovavo a Borno, in Val Camonica, per lavoro, alla guida del furgone sul quale è indicato il nome della ditta e il paese, Nembro. Ebbene, mi sono fermato in un ristorante per mangiare un boccone e, mi sono venuti incontro tre uomini di 35/40 anni che se la sono presa con me e mi hanno detto: ‘cosa fai qui? Ci porti il Coronavirus? Vattene via… torna a Nembro’. E io gli ho risposto che stavo bene e che non ero lì per infettare qualcuno. Cose da pazzi! Certa gente non capisce un c…o!”. “Se la prendono con noi di Nembro – sottolinea una signora – ma secondo me il problema viene da Alzano, dall’Ospedale. E’ da lì che si è diffusa l’epidemia in valle”. Via Mazzini, man mano che si avvicina il mezzogiorno, lentamente si svuota. Lascio Nembro e, mentre guido l’auto, mi viene in mente che non ho rispettato i due metri di distanza con le persone intervistate… cavolo!. Mi fermo ad Albino per un aperitivo in un bar: “Anche qui – dice il barista – c’è stato un forte calo di presenze, il 40% in meno di clienti in questi giorni. Alcuni sono impazziti, come lei – indica, sorridendo, la sua cameriera – Tra quelli che hanno preso d’assalto gli scaffali dell’Esselunga c’è anche lei”. “Senta cosa mi ha detto un mio amico di Bergamo – dice la giovane cameriera – che lavora in un ristorante della città: da quando è esplosa l’emergenza del virus loro hanno perso l’80% dei clienti. Stavano valutando l’idea di tenere chiuso il ristorante, perché così pochi clienti non sono sufficienti nemmeno per stare in pareggio con le spese, anzi, lavorerebbero in perdita…” Il fiume Serio scorre tranquillo in questi tempi di Coronavirus imperante. Le sue acque ne hanno viste tante di epidemie e di pestilenze… passerà anche questa! La mascherina di “Leone fifone”, le strade non deserte e l’intolleranza verso la gente di Nembro: “Sembra che siamo tutti appestati… ci guardano in cagnesco”, “Ero in Val Camonica e mi hanno detto: ‘Ci porti il Coronavirus? Vattene via… torna a Nembro’. Cose da pazzi!”

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