Agosto 2020 – Nembro – Patrizio Moretti, la sua battaglia contro il Covid-19 durata cinque mesi e un’intera famiglia colpita dalla pandemia

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“Se sono qui a raccontarlo, il merito è certamente dei medici che mi hanno curato, ma siccome sono gli stessi che hanno curato anche i tanti che ho visto morire, ci dev’essere qualcos’altro: sicuramente un po’ di fortuna, ma soprattutto, come diciamo qui a Casnigo, ‘ergü sö gliò che l’a ardàt gió’, qualcuno che dall’alto ha guardato giù”. Patrizio Moretti, 65 anni, colpito dal Covid-19 il 2 marzo scorso, è tornato a casa il 12 agosto dopo ben cinque mesi di incubo. “Mi hanno accolto come se fossi un reduce di guerra, mi hanno fatto una bella festa e ringrazio tutti, ma per guarire del tutto so che di strada ne devo fare ancora molta, sono ancora obbligato a muovermi in carrozzella e le terapie continuano tutti i giorni…”. Il 2 marzo scorso Patrizio era andato a raccogliere cicoria, come fa sempre all’ avvicinarsi della primavera, e quand’era tornato a casa sua moglie, Margherita, 62 anni, notandogli il viso arrossato, aveva buttato lì:–Ma non avrai mica la febbre, per caso? . Patrizio non ci aveva badato più di tanto ed era uscito di nuovo per portare un po’ di cicoria anche ad un suo zio. Il giorno dopo però ha la febbre a 39 e la figlia Federica, 27 anni, si incolla per ore al telefono per sentirsi ripetere invariabilmente che finché il papà respira non lo si può ricoverare e deve solo prendere degli antibiotici. Il 9 marzo però, esasperata dalla situazione che peggiora, lo carica in auto e lo porta ad Esine, dove la radiografia diagnostica una polmonite doppia interstiziale. Tuttavia Patrizio viene rimandato a casa. E’ un lunedì, la febbre non passa e la notte del martedì successivo Federica e Paola, l’altra figlia trentatreenne, raccolgono in bagno la mamma che ha avuto un collasso, è svenuta e presenta anch’essa i sintomi inequivocabili del Coronavirus. La Volontaria allertata invita allora le ragazze a procurarsi dell’ossigeno. “Già, l’ossigeno – commenta Federica – come cercare un ago in un pagliaio, non lo si trovava da nessuna parte, una ricerca infinita finché lo abbiamo trovato ad Albino. ..Ma non appena si staccava l’ossigeno il papà riprendeva a non respirare e tutto tornava come prima… Disperate e anche spazientite di fronte all’atteggiamento delle istituzioni sanitarie abbiamo chiesto aiuto ad un’infermiera che conoscevamo, con lei abbiamo chiamato il 118, che è arrivato con un’autoambulanza dopo un’ora e mezza e ha riportato papà all’ospedale di Esine”. Le figlie restano a casa, anch’esse colpite dal Covid-19, ed accudiscono la mamma alternandosi faticosamente al suo capezzale perché febbricitanti e senza forze. Nel frattempo si ammala anche una loro zia, una sorella di Margherita che abita nello stesso palazzo, e il contagio risparmia solo uno dei sei fratelli di Patrizio. Il primo ad ammalarsi, Luigi, ricoverato a fine febbraio, era infatti stato dimesso l’11 marzo; Simone resterà in ospedale per 3 settimane; Guido invece, un caso clamoroso di ‘falso negativo’, viene curato in casa mentre Franco, purtroppo, non ce la fa e si spegne il 17 marzo. Di Patrizio non si sa nulla fino al giorno successivo al suo ricovero, quando una dottoressa chiama i famigliari annunciando che le sue condizioni sono peggiorate e si spera di trovargli a breve un posto in rianimazione; è in coma, è stato sedato, gli è stata praticata la tracheotomia. In questo stato di coma rimarrà per 21 giorni, ma poi, dal momento che non si sveglia come di solito succede, anche i medici non sanno più cosa fare e lo sottopongono a Tac ed altri esami per capire se anche il cervello è stato intaccato… “Altri 20 giorni di coma – spiega Federica – noi potevamo chiamare l’ospedale solo una volta al giorno e la risposta era sempre quella, mio papà era “in condizioni molto critiche”. Finché, alla fine della sesta settimana, la dottoressa ci annunciò felice di aver notato un miglioramento. Ma il giorno dopo ecco la doccia fredda: papà è di nuovo in preda ad una febbre altissima, quasi 41 gradi. La nostra ansia si può solo immaginare: eravamo sempre in attesa, col terrore che prima o poi sarebbe arrivata la telefonata che temevamo….”. “Delle quattro persone entrate con me in terapia intensiva mi sono salvato solo io –dice Patrizio – l’ospedale era un campo di battaglia, c’era il caos, portavano via i morti ‘a badilàde’ (a badilate)…Ci fu un momento in cui ero proprio convinto che avrei fatto la stessa fine, non avevo più speranza, non mi reggevo in piedi, avevo una piaga profonda sulla schiena che mi obbligava a girarmi in continuazione nel letto, non riuscivo a dormire, ero ridotto pelle e ossa, nudo come un verme, ogni mattino mi meravigliavo di essere ancora vivo e pensavo che prima di sera sarei morto, anche pregare era difficile. Ma proprio al colmo della disperazione , un giorno dissi a me stesso che non dovevo lasciarmi andare, che bisognava darsi ‘una girata’ e mettercela tutta per uscire dall’incubo. Non so da dove mi sia venuta questa decisione, questo piccolo barlume di speranza e di forza d’animo, credo proprio che sia stato quello il momento in cui il Signore ha ‘guardato giù’”. Quando Patrizio lascia l’ospedale di Esine lo attendono altri due mesi faticosi di riabilitazione a Gazzaniga. Intanto anche i suoi Cari si stanno rimettendo: “Ma solo a fine maggio ci hanno finalmente fatto il tampone: tutti negativi, per fortuna, e papà fuori pericolo, anche se a casa è tornato solo ad agosto: in carrozzella, dimagrito di 25 chili e molto invecchiato, ma è tornato!”. Federica è ingegnere biomedico ed è lei che ha ricostruito per noi le tappe della ‘via crucis’ del papà, il quale invece fa ancora fatica a ricordare tutti i dettagli con precisione. Proprio anche grazie alle sue competenze professionali ha potuto seguire passo passo il percorso di Patrizio cogliendone a pieno la drammaticità, perennemente sospesa, come i suoi famigliari, tra l’ansia e la paura, disperata all’idea di perdere il papà senza poterlo nemmeno salutare, in un’altalena di sentimenti contrastanti che ha avuto un impatto psicologico devastante su tutti. Ora è in partenza per la Toscana e Paola ne è appena tornata: “Solo qualche giorno, ma abbiamo proprio bisogno di ‘staccare’ un po’. Papà comunque è in buone mani, è ancora molto debole e, terapie a parte, ha ancora bisogno di aiuto anche per le normali attività quotidiane. Ma è determinato e continua diligentemente il suo percorso di guarigione, anche se sa che sarà ancora lungo. Ce la farà, adesso credo che possiamo esserne sicuri”. Sullo striscione di bentornato col quale parenti ed amici hanno salutato il tanto atteso ritorno di Patrizio c’era scritto che la gioia di rivederlo compensava il dolore della sua lunga mancanza, ma forse quest’affermazione non è del tutto vera: anche se tutto tornerà ‘normale’, questa lunga esperienza di dolore ha segnato tutti profondamente. Come dice il Saggio, ‘la sofferenza passa, ma l’aver sofferto rimane per sempre”.

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