La gente qui non ne parla volentieri, almeno ufficialmente, perché poi, come succede in tutti i paesi, la questione dell’arresto dell’unica farmacista del paese corre di bocca in bocca, anche con la mascherina, di casa in casa. Intanto la farmacia, nel centro del paese, è sempre rimasta aperta, come del resto deve fare un servizio indispensabile per la comunità, di là dal bancone però di farmacista ce n’è un’altra, una ragazza del paese che già lavorava per Evelina Pezzoli, 44 anni, che qui dal giorno dell’arresto non ha più messo piede.
La farmacia è sempre stata un punto di riferimento, gestita per anni dal dottor Botti che prima di essere un farmacista era un amico di tutti, dispensava consigli e ascoltava, che nei paesi si fa così. Il legno sull’insegna, la piazza del paese, i fiori curati, la farmacia che ti fa sentire a casa.
E invece a casa, ma ai domiciliari, ci è finita dritta Evelina che non è propriamente di qui, vive a Clusone e ogni giorno saliva sin qui, lungo i tornanti della Presolana per poi arrivare nel cuore della Val di Scalve dove tutti la conoscevano e dove Evelina avrebbe messo in piedi un marchingegno che le avrebbe permesso di portare a casa qualcosa come 800.000 euro di soldi che non le sarebbero spettati.
Evelina qui ha preso servizio il primo gennaio 2012, nove anni sono tanti e qui ci si conosce tutti dopo poche settimane, figurarsi dopo 9 anni. Ma facciamo un passo indietro in quella che gli inquirenti hanno chiamato la vicenda ‘Farmaco.mat’.
Evelina in 8 mesi avrebbe venduto un numero di farmaci per i trapiantati di fegato tre volte superiore a quelli venduti da tutte le farmacie della bergamasca messe insieme. I sospetti sono nati dalla Biotest Pharma, l’azienda produttrice dei farmaci che ha segnalato l’anomalia di ordini cosi alti.
Il 16 marzo scorso i carabinieri del Nas di Brescia hanno fatto un blitz in farmacia, scoprendo 272 confezioni di farmaci, per un valore di 217 mila euro, confezioni che non avevano il bollino di rintracciabilità e alcune confezioni erano tra i rifiuti. Secondo una prima ricostruzione, la farmacista avrebbe modificato le ricette che i clienti le presentavano per altre medicine, aggiungendo (all’insaputa dei medici) altri farmaci dal costo ingente e totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Ricevuti, ne rimuoveva il bollino che permette il rimborso, che incassava. Un’attività iniziata un anno fa e che le avrebbe fatto fruttare ben 804.753 euro. L’inchiesta, che ha visto la collaborazione del Servizio farmaceutico territoriale dell’Ats di Bergamo, ha portato all’arresto della farmacista, domiciliari a Clusone, con l’accusa di falso e truffa aggravata, oltre al sequestro ai fini della confisca della somma al centro dell’inchiesta o di beni equivalenti.
La donna aveva anche chiesto e ottenuto la cassa integrazione in deroga per una persona. La richiesta dell’ammortizzatore sociale risale alle prime settimane dell’emergenza, nel marzo del 2020. Il decreto di autorizzazione della Regione è del 23 aprile 2020 e il periodo coperto va dal 12 marzo al 10 maggio (poi prorogato con un successivo decreto fino al 6 giugno), per un totale di 91 ore di cassa integrazione. Da quanto risulta dagli elenchi regionali pubblicati sul sito della Regione, il ricorso alla cassa integrazione è stato chiesto nel 2020 da circa un centinaio di altre farmacie lombarde (alcune di queste per più volte), di cui 5 farmacie della provincia di Bergamo, oltre appunto a quella di Vilminore.
L’inchiesta che ha portato all’arresto della titolare della farmacia scalvina, ha fatto emergere che l’inizio della presunta attività illecita della farmacista risalirebbe proprio all’aprile del 2020, dunque il periodo per cui la donna aveva fatto contestualmente ricorso alla cassa integrazione, per poi proseguire fino a dicembre. Dunque in quei mesi la donna ha chiesto il sostegno dell’ammortizzatore sociale proprio quando, secondo gli accertamenti dei CC, stava anche intascando i rimborsi non dovuti per i farmaci…
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