Spett.le Redazione
Scrivo questa lettera non per disperazione ma per donare un minimo di giustizia a mio marito Armando deceduto lo scorso 4 Giugno presso il reparto di medicina dell’ospedale di Alzano Lombardo. In un periodo in cui si parla molto di sanità italiana di “eroi , angeli delle corsie e degli ospedali” non mi sarei mai aspettata di toccare con mano una realtà al quanto scandalosa.
Parto dal giorno 27 maggio, mio marito Armando Zanchi, di 84 anni, sofferente di asma, ma soprattutto totalmente cieco dalla nascita, viene ricoverato presso il reparto di chirurgia dell’Ospedale di Alzano per difficoltà respiratorie; viene subito curato con un piccolo intervento per drenare del liquido da un polmone e nei due giorni successivi le condizioni erano migliorate notevolmente, riusciva a chiamarmi con il suo telefonino dicendo che si sentiva bene e il personale lo accudiva ottimamente tant’è che un’infermiera mi ha permesso anche una videochiamata. Così dal reparto chirurgia, viene trasferito nel reparto di medicina e il sabato mattina, in attesa delle dimissioni, comincia l’incubo. Durante quella giornata mi chiama tre volte e lo sento bene, la prima sera mi dice di non gli hanno portato niente da mangiare e che alla richiesta di essere accompagnato in bagno, essendo non vedente, l’infermiera di turno gli ha infilato il pannolone dicendogli di farsela addosso che l’avrebbero cambiato successivamente. La mattina successiva lo chiamo, lamenta subito che ancora indossava quel pannolone e che non trovava il pulsante di chiamata, così chiamo il reparto per capire la situazione e dopo vari tentativi mi rispondono che il paziente sta bene e di non preoccuparmi. La stessa sera mi chiama, lo sento confuso, dice di non aver mangiato né a pranzo né a cena, così anche il lunedì mattino, lo sento in stato confusionale, continua a ripetere di voler tornare a casa, che li non c’e nessuno, ma quella è stata l’ultima chiamata che sono riuscita a fare perche da li in poi il telefonino gli si è spento all’improvviso perche scarico.
Così chiamo il reparto chiedendo se potessero farmi la cortesia di andare a mettere in carica il telefonino, ma mi rispondono che il caricabatteria non si trova, è rimasto in chirurgia e sembra impossibile recuperarlo. È lunedì pomeriggio e da quel momento comincia un’angosciante ricerca di mettermi in contatto con mio marito, di avere sue notizie, puntualizzando che essendo totalmente cieco ha bisogno di particolari attenzioni, ma le risposte del reparto erano sempre quelle, sta dormendo, sta bene. Nei due giorni successivi non riesco ad avere sue notizie, così ha provato a chiamare il reparto il nostro medico di famiglia, che lo seguiva da oltre 30 anni, ma, purtroppo, essendo andato in pensione da gennaio, quindi non esercitando più la professione, non gli hanno voluto dare notizie. Contatto così l’associazione ‘Non vedenti’ e mi viene detto che essendo un disabile e io la sua tutrice, anche vaccinata, avrei avuto il diritto di andare ad accudirlo in ospedale, così chiamo subito il reparto ma mi rispondono in modo arrogante che ciò non è assolutamente possibile e che in quell’ospedale le leggi sono diverse! Siamo al giovedì mattina quando ricevo la telefonata dal reparto che mio marito era peggiorato e necessitava di un intervento per inserire nuovamente il drenaggio al polmone, ma lui non voleva firmare per l’intervento avendo paura, così insisto, dicendo che io sarei riuscita a convincerlo e avrei potuto firmare io essendo la moglie e tutrice…
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