C’è una disaffezione evidente per il ruolo di amministratore del proprio Comune. Si sono moltiplicati i Comuni, anche con popolazione rilevante, dove si riesce a presentare a fatica una sola lista. Dev’essere passato un vento gelido che ha spazzato via l’interesse (un tempo determinante per alcuni, si candidavano per avere in cambio… qualcosa) e l’impegno civico (questo almeno fino a due decenni fa molto diffuso, adesso dissolto e il Covid c’entra poco). Tutti hanno “altro” da fare e i propri interessi evidentemente non coincidono più con quelli della comunità di cui fanno parte, ognuno per sé, salvo reclamare a gran voce servizi, a valenza individuale, con un analfabetismo di ritorno per cui sbagliano obiettivo, non sapendo di chi sono le competenze.
Trovare uno che si addossi la responsabilità di amministrare il proprio paese è diventata un’impresa come quella di Diogene che andava in giro con un lanternino anche in pieno giorno e a chi gli domandava cosa andasse cercando rispondeva: “Cerco l’uomo”.
Forse è anche per questa carenza di “uomini” che si registra in alcuni paesi un ritorno dei “vecchi” sindaci, che però trovano situazioni completamente diverse (e peggiori) e faticano ad accettarle e addirittura a capirle.
Oppure arrivano “homines novi”che non hanno alcuna esperienza ma o per ambizione (legittima) o per avventura (dai, buttiamoci…) o per convenienza economica (da che i sindaci hanno indennità non disprezzabili) approfittano del vuoto che si è creato e si candidano con alta probabilità di essere eletti o addirittura con la certezza, se c’è una sola lista. Poi gli sconquassi che seguono, per evidente incapacità a sostenere il ruolo, ricadono sui compaesani, che in percentuale, anche questa rilevante e crescente, non vanno più nemmeno a votare.
Partiamo dal fatto che i Partiti non fanno più scuola, i loro “caporali” adesso cercano di arruolare sul territorio più che delle persone, dei… numeri, che cercano poi di far pesare per essere promossi almeno a “sergenti” (più in là difficile andare da che hanno dimezzato i parlamentari). E’ una sorta di modesto “caporalato” politico. Ma a livello comunale, quando si andava a votare per il sindaco, si cercava di scegliere indipendentemente dai Partiti, ci si conosceva, uno poteva anche mettere nel simbolo il logo di un partito in voga, ma restava quel tale che in paese sapevano incapace e non lo votavano. Non c’è più nemmeno questo, non gliele frega più niente, o, peggio, non ci si conosce più, occupati come siamo a sbarcare il lunario per conto nostro, contro tutto e tutti.
Il che può voler dire che l’ente più alla portata di voce, quello del Comune, è stato svuotato di competenze. Infatti. Non può più mettere becco nella sanità (un tempo i sindaci potevano addirittura bocciare il bilancio delle allora USSL), sul ciclo dell’acqua (acquedotti e fognature erano di proprietà comunale, adesso non più), sulle scuole (sono competenti sugli edifici, i trasporti e le mense, sulle chiusure possono solo aggiungere la propria firma a chi protesta), sul metano e sui rifiuti (affidati ad aziende ad hoc che ne hanno l’esclusiva).
I bilanci che negli anni ‘90 erano arrivati ad avere entrate proprie per cui la parte finanziata dallo Stato era in quota addirittura minoritaria, adesso sono riprecipitati a dipendere in gran parte da quello che arriva dall’alto. Il che significa che hanno poca autonomia di investimento, se non per “contributi”, partecipando a Bandi comunque emessi su temi specifici, non quindi su dei bisogni locali, ma su settori decisi “in alto”, dallo Stato o dalla Regione.
Poi un sindaco, visto che c’è l’opportunità, partecipa e riceve un contributo che deve integrare con il proprio bilancio, magari l’opera non è affatto prioritaria, ma bisogna pur approfittare dell’occasione.
Ma la disaffezione al ruolo ha una sua genesi nel 1993, con l’elezione diretta dei Sindaci. Direte, ma come, se proprio quella legge venne presa a modello per le elezioni provinciali (poi declassate e adesso con la nuova legge pare siano riesumate, anche nel sistema elettorale) e per quelle regionali e se di tanto in tanto si sente parlare di una riforma elettorale nazionale basata sull’elezione del “Sindaco d’Italia” (naturalmente mai fatta perché segnerebbe la morte dei Partiti).
Avrà anche semplificato il sistema, creando le premesse del leaderismo dell’uomo solo al comando, che era la preoccupazione maggiore dei costituzionalisti dopo il ventennio ma, come certe medicine, come controindicazione alla lunga ha provocato la morte delle liste nei Comuni. Prima di tutto perché è difficile trovare in paese più di una figura di prestigio che “guidi” la squadra, ma soprattutto perché quella legge del 1993 svuotava i Consigli comunali di competenze.
Faccio un esempio personale: eletto sindaco nel 1988, non direttamente, ma dal Consiglio Comunale, avevo fissato un riunione di Consiglio ogni terza domenica del mese. E c’era di che discutere prima di… mess’alta. Rieletto sindaco altre due volte con la nuova legge (col limite dei due mandati) non c’erano più argomenti da mettere all’ordine del giorno, passati di competenza della Giunta, per cui i Consigli venivano convocati ogni due o addirittura tre mesi. Capite che un consigliere si trovava e si trova ad essere tagliato fuori dalle decisioni più importanti. Perché mai devo candidarmi, attirandomi magari le ire dei vicini di casa o sobbarcandomi poi tutte le lamentazioni del popolo quando vado al bar, della serie “tu che sei in Comune, perché non mi asfalti la strada di casa o mi porti via lo sporco?”, se poi non so nemmeno dare le risposte perché non ne so niente?
Certo, ci sono sindaci che tengono informati i consiglieri, che danno “deleghe” a tutti su qualche aspetto, ma anche in questo caso i consiglieri non vanno aldilà della delega specifica.
Adesso è in gestazione una legge sugli enti locali che eliminala figura del segretario comunale, i responsabili di servizio saranno scelti per area non solo sui dipendenti di quel Comune e cambieranno anche le responsabilità dei sindaci (adesso vanno a processo anche se uno si fa una storta per una buca).
Queste alcune cause della disaffezione generale e della carenza di candidati alle elezioni comunali.
L’educazione civica, che è tornata tra le materie scolastiche, è trasversale, finisce che nessuno la fa in modo specifico, ogni insegnante sceglie argomenti trattati nella sua materia e li trasferisce, con qualche forzatura, nel calderone di un’educazione civica che è tutto ma soprattutto niente.
Insegnare i meccanismi della democrazia dovrebbe essere prioritario. Il mio maestro ci faceva fare le elezioni del capoclasse ogni mese, con tanto di urna e di schede per votare. Così insegnava la democrazia. Per mantenerla, preservarla, capirla, apprezzarla, viverla.