Coda alla cassa. La signora si volta, riconosce quella che sta dietro, “come sta suo padre?” chiede ma si capisce che è pura cortesia. “Come vuole che stia, come sempre”. “Ma se tanto non capisce più nemmeno che lei è sua figlia cosa gli sta dietro a fare, non è meglio se lo ricovera?”. La donna non sta nemmeno a pensarci troppo: “Lui magari non sa più che sono sua figlia, ma io so che è mio padre”. Fine della favola (vera) natalizia.
“Vi sono molti atteggiamenti riguardo al Natale, / e alcuni li possiamo trascurare: / il torpido, il sociale, / quello sfacciatamente commerciale, / il rumoroso (essendo i bar aperti fino a mezzanotte), / e l’infantile – che non è quello del bimbo / che crede ogni candela una stella, e l’angelo dorato / spiegante l’ali alla cima dell’albero /non solo una decorazione, ma anche un angelo. / Il fanciullo di fronte all’albero di Natale: / lasciatelo dunque in spirito di meraviglia”(Thomas S. Eliot).
Non ci sono più i Natali di una volta, apparentemente ci parliamo nella stessa lingua, ma ognuno intendendo altro e non ci si capisce mai.Prisencoli nensinalnciusol in de col men selvuan… ol rait uis de seim cius men op de seim ol uat men in de colobos dai… (Celentano). Boh. C’è nel cinema quella scena di Blow-up (1966, Michelangelo Antonioni) della partita a tennis finale, senza suoni, senza racchette, senza pallina. Si gioca la partita finta della vita secondo convenzioni, che alla fine coinvolgono tutti, anche chi cerca di fotografare la realtà. Cos’è la realtà? Cos’è la verità?, chiede Pilato a Gesù. Vengono in mente le opere di Pirandello, la voglia di rifarsi una vita e guardare la propria dall’esterno, di cambiare personaggio, di essere altro e un altro, di recitare più parti, di recitare tutte le parti. O di lasciare il palco e ficcarsi anonimo in platea e godersi l’attore che recita la tua vita, le tue ossessioni, le tue illusioni, ripetendo i tuoi errori, le tue parole senza senso. O di lasciare proprio il teatro, via, via di qua “niente più ci lega a questi luoghi, neanche questi fiori azzurri”, nemmeno le luci che si sono fatte gelide, bianche, che fotografa il gelo che è sceso tra noi.
E allora viene ancora più voglia di Natale, dei vecchi Natali di una volta, in cui quando se ne parlava non ci si confondeva, si intendeva tutti lo stesso Natale, il presepio, la Messa di mezzanotte, Tu scendi dalle stelle, la neve da pestolare, il carcadé della mamma, gli occhi lucidi di freddo, il pranzo col vapore della stufa, quando c’eravamo ancora tutti e non restavano sedie vuote e ognuno ha il suo ultimo Natale da ricordare, piangere e rimpiangere. Oggi c’è un abisso culturale tra chi vede protagonista Babbo Natale e chi Gesù Bambino, molto peggio di quando si discuteva se lo rappresentasse al meglio l’albero o il presepio. Eppure festeggiamo lo stesso Natale, nel fraintendimento clamoroso sulla genesi della festa e quindi su cosa, chi e perché si festeggia. La confusione delle lingue e delle menti, arriva Babbo Natale, quell’omino rosso che si arrampica sui terrazzi, nel presepio hanno messo di tutto, la capanna bisogna andarla a cercare, sta defilata, marginale nella rappresentazione. Un bambino chiede se Babbo Natale è esistito davvero, poi ci pensa e fa la stessa domanda su Gesù. I preti dovrebbero raccontare la grande storia natalizia, che si regge da più di duemila anni, di un Dio che si è fatto uomo, di quei sapienti Magi (“Fu un freddo avvento per noi, / Proprio il tempo peggiore dell’anno / Per un viaggio” – sempre Eliot),che seguirono una stella, delle crudeltà e gelosie del potere temporale, delle paure e dei respingimenti di allora (“Oste di Cesarea… Un vecchio falegname? Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente? L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dame, non amo la miscela dell’alta e bassa gente”– La Notte Santa di Guido Gozzano), delle fughe affannose, via, via di qua, anche allora. Di cosa avevano paura, di cosa abbiamo paura? Perché abbiamo paura, paura della paura, non sappiamo più cosa succederà, cosa ci succederà.
Avevamo una storia comune, abbiamo rinunciato a raccontarcela. “la mascella nel cortile parlava, troppi morti lo hanno tradito, tutta gente che aveva capito”(De Gregori: Le storie di ieri). Il nuovo cortile è facebook, e la mascella si muove, parla, parla, volta e rivolta frittate rinsecchite, “dice che il movimento vincerà, il gran capo ha la faccia serena, la cravatta intonata alla camicia”. Poi la conta, quelli che, direbbe Jannacci, perdono la guerra per un peloe quelli che la vincono alla Pirro, il tizio che vinceva così male le battaglie da perdere le guerre. La storia ha già visto tutto, non sappiamo inventarci nemmeno una favola che ci aiuti a sognare. “Ma il bambino nel cortile si è fermato, si è stancato di seguire aquiloni, si è seduto tra i ricordi vicini, rumori lontani, guarda il muro e si guarda le mani”. Tanto vale sederci, spegnere la “mascella” e il suo cortile, mettere un po’ di muschio, la grotta del miracolo e sopra, nel cielo azzurro, una stella cometa che torni a guidarci là dove c’è una favola bella che dia qualche speranza. Perché i bambini non è vero che rinunciano agli aquiloni, se non gli tagliamo noi il filo, se non gli togliamo noi il vento. Buona Natale, gente e, se vi riesce, buon anno.