Il termine “Vicinia” indica un insieme di persone che abitano nella stessa località e che hanno interessi o beni comuni. Viene dal Medioevo, quando le comunità rurali alpine e prealpine di confinanti condividevano proprietà comuni, regolate ed amministrate dalle “assemblee vicinali”. Secondo gli antichi documenti, la ‘Vicinia di Lizzola’ risale al 1730. Fin da allora tutti i capifamiglia venivano periodicamente convocati allo scopo di amministrare, appunto, i beni della società. Lo Statuto prevedeva la presenza di ‘Sindaci’ la cui carica durava due anni i quali, alla scadenza del loro mandato, dovevano predisporre le pratiche per l’elezione di quelli nuovi e chi rifiutava la carica veniva multato. La vendita dei beni comuni – di cui faceva parte anche la casa parrocchiale -poteva avvenire solo se approvata all’unanimità da tutti i membri della ‘contrada’, mentre chiunque danneggiasse questi beni era passibile di denuncia e di sanzioni:
“Ma sia lo Statuto che le conseguenti adempienze della Vicinia di Lizzola sembrano ‘lettera morta’ da una quindicina d’anni – afferma Walter Semperboni -. I ‘sindaci’ – del resto abbondantemente scaduti, – in tutto questo tempo non hanno mai convocato i Lizzolesi, non hanno indetto nuove elezioni, non hanno presentato né bilanci né libri dei conti, anche se, presumibilmente, i beni comuni della vicinia stessa – boschi, terreni, prati ( tra cui il più bello del paese, quello delle ‘Piane’), appartamenti, garages – hanno continuato a ‘rendere’ (si calcola che potrebbero aver dato una rendita di circa 6.000/7.000 euro)…La gente perciò, stanca di questo andazzo e di questo silenzio, ha cominciato a chiedersi dove siano finite queste rendite, ed ha deciso di chiederne conto, ed io ho raccolto le firme per sollecitare una convocazione.
SUL NUMERO IN EDICOLA DAL 17 DICEMBRE