Marianna Boiocchi
Fermarsi il 27 gennaio si impone alla nostra coscienza come un imperativo di umanità. Fermarsi a ricordare e riflettere. Ricordare qualcosa che ci riguarda sempre da vicino, nonostante la distanza temporale. Perché quello che ricordiamo è sempre vivo in noi, ricordare significa tenere in vita. E tenere in vita qualcosa di negativo e doloroso, ricordare gli uomini che hanno subìto direttamente questo dolore, è forse una delle più coraggiose facoltà umane che ci rimangono. L’esperienza del nazifascismo si staglia nella storia mondiale come l’evento simbolo del Male della Storia, penetra nella nostra coscienza di uomini. E per noi italiani, il fascismo rimane un problema con cui dobbiamo ancora fare i conti fino in fondo. Per questo ogni anno la ricorrenza della Giornata della Memoria è un invito a fermare la valanga di informazioni, dati, obblighi, scadenze, per dedicarci al ricordo. Ciò che è stato può essere ancora, e può essere a maggior ragione in una società come la nostra, globalizzata e in movimento, in cui tutte le novità invecchiano in pochi giorni. Ricordare significa fermare questo turbinio di cose e riconoscere l’attualità assoluta di qualcosa che non può passare, e che si pone come un problema, una macchia eterna nella storia dell’umanità.
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