Due storie di anziani della nostra zona. Due storie diverse. Due facce della stessa medaglia, quella dell’essere anziano ma vissute in modo diverso. Battista di Endine che è solo e si sente solo, Angelo di Parre che è solo ma non si sente solo, perché la sua famiglia ora è il paese, che lo aiuta, lo invita, lo va a trovare, sta con lui. Ecco, la vecchiaia cambia non a seconda di chi la vive, ma a seconda di chi ci sta attorno. Ricordiamocelo. Perché se ci va bene, prima o poi diventeremo tutti vecchi.
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“Quando c’era Elena qui era tutto un fiore”, dice con un velo di malinconia Battista mentre preme il pulsante che apre il cancello. Un vialetto in cemento, un grande ulivo sulla destra, l’orto che attende la primavera sulla sinistra e casa sua, immersa nel silenzio di una mattina di metà febbraio. Siamo a Piangaiano, Gian Battista Castelli vive qui da molti anni, ora ne ha 78, li ha compiuti proprio il 17 febbraio. “Una casa troppo grande e troppo vuota adesso che sono qui da solo, anche il giardino, è bello quando ci sono i miei nipoti che giocano”. Entrano i primi raggi di sole che illuminano il tavolo al piano terra, Battista non si siede, cammina su e giù per la stanza.
Le giornate sono lunghe, iniziano presto, al mattino. “Mi sveglio sempre alle cinque, a volte anche alle quattro, dipende. Poi cerco sempre qualcosa da fare, altrimenti mi annoio. La mattina vado sempre a fare una camminata, il tempo mi passa sempre così. Vado spesso a Clusone, lascio la macchina e poi inizio a camminare, faccio un bel giretto, arrivo anche fino a Parre e poi quando torno a casa mi preparo qualcosa da mangiare. Mi sono sempre arrangiato, cucinavo io anche quando le mie figlie erano piccole, sono sempre andato anche a fare la spesa. A volte poi vado da mia figlia a Cenate Sotto. Il pomeriggio magari esco ancora un po’… oppure faccio l’orto in primavera o sistemo il giardino”.
Poi qualche attimo di silenzio, Battista guarda le fotografie appese vicino al camino: “Ma la parte più dura della giornata è la sera, è proprio in quel momento che arriva la malinconia, quasi come fosse un castigo. Non passa mai, non c’è un giorno che non arrivi a trovarmi e allora la sera mi metto qui, sul divano, guardo un po’ la televisione se fanno qualcosa che mi interessa, finché mi addormento. Quando mi sveglio poi salgo in camera. C’è stato un periodo che facevo sempre le parole crociate per passare la serata, ma non c’è nessun modo per far passare la malinconia…”.
Il pensiero è sempre rivolto a lei… “Elena, mia moglie, non c’è più dal 2013, ha avuto un tumore al seno. Io avevo visto che non stava bene, è andata così, ma sai quanto è difficile? Non lo sapevo neanche io… perché siamo sempre abituati a guardare quello che succede agli altri, lo diciamo sempre che è la vita, no? Poi quando capita a te capisci cosa vuol dire. Elena amava i fiori e quando c’era lei il nostro giardino era sempre colorato. L’ho conosciuta quando eravamo ancora dei ragazzini, mia mamma mi aveva detto che c’era questa ragazza, che era anche brava a scuola, che avrei dovuto pensarci… l’ho guardata e le ho detto che io stavo bene così e che mi sarei arrangiato (sorride, ndr), invece poi le ho scritto una lettera, io non avevo il telefono e così, giorno si e giorno no, ci scrivevamo… mi sono affezionato tanto…
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