“Mia moglie l’assiste giorno e notte. Finchè ci saremo noi, lei sarà felice, ma cosa le capiterà dopo? Sono arrabbiato con lo Stato, con la sanità, hanno rovinato la vita alla mia famiglia”
“Penso sempre a cosa le capiterà quando noi non ci saremo più, chi si occuperà di lei?”, Bruno Mancuso si sistema gli occhiali e accarezza con le dita i suoi baffi bianchi mentre parla di sua figlia Rossella. Da 43 anni si prende cura di lei insieme alla moglie Verangela. Una gravidanza tranquilla, ma quel giorno del 1979 il parto è stato complicato e per far nascere la bambina è stato utilizzato il forcipe, che però ha causato danni al suo cervello.
Nel suo racconto, Bruno parte da lontano, come lontane sono le sue origini. “Io sono calabrese, di Zagarise, un paesino in provincia di Catanzaro. Per motivi di lavoro la mia famiglia si è poi trasferita a Monza quando avevo quasi 14 anni. Mia moglie è invece di Albino, ci siamo conosciuti e ci siamo innamorati, così sono venuto ad abitare qui”.
Che lavoro faceva? “Ho iniziato come carrozziere, ma lo stipendio era basso e allora, avendo la patente dei camion, ho cominciato a fare il camionista. E l’ho fatto per tutta la vita, andavo sempre all’estero guidando il TIR, in Olanda, Belgio, Inghilterra, Francia. Lo facevo per guadagnare i soldi necessari alla mia famiglia. E mi trovavo proprio all’estero, in Olanda, quando nel 1979 è nata la mia prima figlia, Rossella”.
Durante la gravidanza c’erano stati problemi? “No, nessuno, la gravidanza era andata avanti benissimo. Eravamo tranquilli. Come dicevo, ero in Olanda e stavo rientrando col camion, avevo fatto il tunnel del Monte Bianco e appena entrato in Italia, ho fatto una telefonata per sentire come era andato il parto. All’epoca non c’erano i cellulari, quindi mi sono fermato a Courmayeur per fare la telefonata. Mia cognata mi ha detto: ‘è nata una bella bambina’. Quando sono arrivato a casa mi è stato raccontato quello che era successo. Nella sala parto dell’ospedale di Gazzaniga erano in quattro ad assistere mia moglie: il ginecologo, l’ostetrica e due infermieri. Per far nascere la bambina hanno usato il forpice, schiacciandole la testa. Lei, la piccolina, è arrivata a casa con un cerotto sulla testa, perché le avevano fatto tre punti di sutura appena nata. E così, Rossella cresceva, cresceva, ma ci accorgevamo che non riusciva a tenere su la testa, ce l’aveva sempre piegata”.
In ospedale vi avevano avvisato delle possibili conseguenze sul cervello della neonata? “No, non ci hanno detto niente. Tutto segreto. Come dicevo, la bambina cresceva ma ci rendevamo conto che qualcosa non quadrava. Mi sono messo a lavorare ancora di più per guadagnare soldi per le visite che le abbiamo fatto fare, perché i medici andavano pagati… e non poco. Si può dire che ho lavorato soprattutto per la ragazza. Pensi che quando mia figlia aveva un anno, ci è stata consigliata una Tac. Il dottore mi fa l’impegnativa, però all’ospedale di Bergamo in quel tempo non facevano le Tac. Bisognava andare in una clinica della città. Sono quindi andato giù per prendere l’appuntamento e mi viene detto: ‘ci dispiace, ma prima di sei mesi non possiamo fare la Tac a sua figlia’. Io avevo fretta di farla questa Tac e allora ho chiesto: ‘scusate, ma a pagamento?’….
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