GIORGIO FORNONI
Ecco il mio ricordo del 50° di sacerdozio di Padre Giovanni Bigoni.
Sarà lui che accompagnerà e presiederà l’importante processione della Vigilia dove la rappresentazione scultorea in legno (degli artisti Paratoner) della Madonna col bimbo in braccio apparsa alle due bambine, verrà riportata dalla parrocchia al Santuario per essere ricollocata, nella cripta sotto l’altare.
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Missionario vero.
Non mi è difficile parlare di lui (raccontare alcuni aneddoti che lo rappresentano come figura per me la più vicina al Santo Luigi Maria di Montfort, fondatore della Compagnia di Maria, lui suo discepolo già da quando a dieci anni decise di entrare nel Seminario dei Padri Monfortani a Redona) per i tanti incontri e momenti vissuti insieme in terra di missione. Amato e stimato come nessun altro nella nostra comunità per la sua umiltà, generosità, saggezza e bontà d’animo.
Come il Montfort, vissuto nel 1700 missionario itinerante nella regione della Vandea in Francia, il nostro Padre Giovanni aveva scelto di incontrare, in terra di missione, le anime abbandonate in desolati villaggi sperduti, dimenticati da Dio e dagli uomini sulla Sierra andina, in quei luoghi dove regna silenzio e solitudine. Molti incarichi lo hanno poi caratterizzato: per molti anni maestro dei novizi (molto severo, anzi esigente), per un periodo anche parroco nella loro sede di Lima, poi animatore e fondatore della “Casa famiglia” già cresciuta con Suor Augusta, non da ultimo, parroco nella città della miseria, nella “barriadas” di Uaycan, ecc…
Il “Prete della Sierra” lo avevo definito in un video che gli avevo dedicato tanti anni fa, seguendolo in una delle tante sue disagevoli missioni tra la sua gente, la gente della Sierra peruviana, e lì, mi dette un importante insegnamento e cioè: confidare nella Provvidenza.
Un giorno, in Jeep (che ci siamo fatti prestare dai suoi amici missionari comboniani), partiamo alla volta di Chavin de Parierca, un paesino sperduto in cima ad una lunghissima vallata della Sierra andina. Ovviamente prima di partire, il giorno prima abbiamo fatto il pieno di benzina e fatto provviste di viveri di ogni tipo… tanto pane, scatolette di tonno, sardine, carne, formaggi… insomma tanto da poter vivere molto più che dei 15 giorni che ci eravamo preposti per la missione. Il tempo è buono e su su, maciniamo chilometri… ad un certo punto vede un gruppo di donne che, sedute sopra uno spiazzo, vicino ad un precipizio, stanno lavorando a maglia. Con grande abilità muovevano i lunghissimi aghi mentre parlavano raccontandosi le loro ansie.
Padre Giovanni si avvicina alle donne, parla a lungo, le benedice e poi si avvicina al nostro bagaglio, prende un sacco di pane e glielo va a distribuire. Ognuna di loro ne riceve in abbondanza. Io rimango pietrificato. “Ma Padre”, dico, “Se fai così a noi cosa resta?”. Per tutta risposta subito mi rappacifica dicendo “Dove andiamo ci sono negozi… ma soprattutto c’è la Provvidenza”. Ripartiamo e incontriamo gruppetti di campesinos che hanno un solo legame con il resto del mondo, quello che passa coi tornanti da brivido di una carrettiera sterrata, scavata sul fianco della montagna… ma il tragitto è lungo e di tanto in tanto, mi ferma (sono io l’autista), scende, si avvicina ogni volta al bagagliaio, prende pane o formaggio o scatolette… insomma prende tutto quel che c’è e distribuisce generosamente tutto a tutti… praticamente in poche ore distribuisce tutte le provviste acquistate per un viaggio di più giorni.
Padre Giovanni è fatto così, vivere tra gli indio significa per lui condividere anche la sofferenza, la fatica, la fame ancestrale.
Percorriamo in jeep strade impossibili, specie ora che sta piovendo a catinelle… ad un certo punto davanti a noi si presenta un grande ostacolo, ci sono dei grossi massi sulla strada… ”Non riusciamo a passare”, dico. Anche il fianco della strada aveva ceduto sotto quello sferzante diluvio, causando una frana. Lui ad un certo punto, sotto l’acqua, si mette sul ciglio della scarpata e dice: ”Dai che forse ce la fai”.
Ricordo che sfiorando il grande masso e salendo sulla punta dei suoi scarponi, sotto lo scrosciare di una pioggia battente, piano piano sono riuscito a passare. E pensare che bastava poco, un niente per cadere tutti e due con la nostra jeep. Superato l’ostacolo veramente pericoloso gli dico: ”Facile per te rischiare, tu che hai tanti amici in Paradiso… io devo fare i conti invece con la generosità del Padreterno”. Dimenticavo di dire che prima di arrivare lì già mi aveva fatto recitare tre rosari.
La traversata della Sierra andina rappresenta sempre un’avventura.
Riprendiamo la marcia, la pioggia diminuisce fino a terminare. Arriviamo al paesino che comincia a svanire il giorno. Mi dice ad un certo punto di aspettarlo.
Dopo poco ritorna e mi indica dove alloggiamo. Un piccolo riparo per le bestie. In terra però c’è del fieno e dice che quello sarà il nostro giaciglio. Ci prepariamo per affrontare la notte, così stendiamo il sacco a pelo e come cuscino lo zaino. La fame si fa sentire e dico che dobbiamo andare a recuperare provviste ma lì, dovevo aspettarmelo, non ci sono né negozi né nulla. Quella gente vive esclusivamente allevando piccole gallinelle, tacchini, qualche pecora e di ciò che riescono a raccogliere lavorando la dura terra: verdure, patate e poco più.
“Morirò di fame ma anche il Padre non vivrà solo di spirito”, dicevo tra me….
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