Ne è autore Matteo Bellini che l’ha redatta a conclusione del corso dei suoi studi presso la facoltà di Scienze Agrarie e Alimentari dell’Università degli Studi di Milano. Dovizia di documenti consultati, (comprese anche le dirette testimonianze dei nonni), attenzione a tutti gli elementi che costituivano i capisaldi della vita delle popolazioni agricole dell’altipiano, tra Settecento e Ottocento, rigorosa utilizzazione delle fonti, attenzione alle conseguenze (anche recenti) di scelte agrarie e silvo-pastorali del passato e, non ultimo, simpatia e partecipazione nei confronti dell’argomento trattato in tutti suoi aspetti ambientali e sociali. Queste le caratteristiche del lavoro di Bellini che, partendo da un inquadramento geomorfologico e pedoclimatico dell’ area interessata, ha analizzato i sistemi colturali tradizionali relativi ai diversi cereali, frumento e granoturco in primo luogo naturalmente, ma anche miglio, panico, orzo, segale, sorgo, con le loro basse rese unitarie, ordinariamente «dal sei al dodici per uno», all’inizio dell’Ottocento.
Nel periodo preso in esame Bergamo contava quasi 200.000 abitanti e sul territorio della provincia occupato in gran parte da montagne e colline, i coltivi erano ridotti, anche perché una porzione della fertile pianura apparteneva al ducato di Milano. Suppliva l’eccezionale industriosità dalla popolazione e l’avvento provvidenziale del granoturco con la sua limitata permanenza sul terreno e le sue rese più alte. I cereali erano poi macinati nei mulini della zona: Fino, Onore, Songavazzo, Rovetta e Clusone ne erano sprovvisti, non avendo corsi d’acqua consistenti sul proprio territorio, ce n’erano invece tre a Castione, ben cinque a Cerete e altri ancora sul territorio di Oltressenda Bassa e di Piario….
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