Ildo Serantoni
Gasperini a Bergamo è una sorta di pontefice: può dire tutto quello che vuole e tutti – tifosi, opinione pubblica, media – si schierano dalla sua parte. E’ un’apertura di credito, quella della credibilità, che non nasce per caso o per grazia ricevuta: l’allenatore dell’Atalanta se l’è conquistata sul campo, in sette anni di lavoro che hanno prodotto risultati impensati: le tantissime vittorie, le qualificazioni alla Champions League davanti a squadroni metropolitani, gli eccellenti – in alcuni casi eccezionali – piazzamenti in classifica alla fine di tutti i campionati che l’hanno visto alla guida della Dea, da quando è arrivato fino a oggi.
Alla vigilia del campionato, e anche dopo un paio di giornate, non l’aveva mandata a dire, nemmeno ai Percassi e allo sfuggente padrone americano. In conferenza stampa, davanti a microfoni e taccuini, era stato di una chiarezza disarmante: le operazioni di mercato non l’avevano soddisfatto quasi per niente. E giusto per non escludere nessuno, le aveva cantate anche a quegli impertinenti di giornalisti. Nei dettagli, aveva chiesto un attaccante di peso, con una certa esperienza del campionato italiano, ma non sono riusciti a prenderglielo. Gli hanno preso, invece, all’ultimo momento, quasi a mo’ di tardiva riparazione, un ragazzino danese nato nel 2003, di nome Hojlund, il quale fino a poche settimane prima giocava nel campionato austriaco, che non è notoriamente tra i più competitivi. Il Gasp ha mandato giù: se è questo che mi date, vedrò con questo di ottenere comunque qualche risultato, ma non pretendete troppo. Detto fatto. Con Zapata che non segna più, con Muriel fuori uso, con Freuler emigrato in Inghilterra, con Ilicic che è ormai un ex, e con questo teenager danese gettato coraggiosamente nella mischia, il tecnico sabaudo ha portato l’Atalanta in testa alla classifica, davanti a tutta la nobiltà del calcio italiano. Fino a quando ci resterà non è dato sapere, ma la piega che sta prendendo questa stagione è decisamente incoraggiante.
Secondo un parere abbastanza condiviso, questa sarebbe dovuta essere una stagione di transizione, l’occasione per reimpostare un ciclo con una squadra nuova, con l’innesto di giovani destinati a esplodere nel giro di un paio d’anni. Ma al Gasp questo termine – transizione – è evidentemente sconosciuto. Non ci sono più i campioni degli anni passati? Pazienza, ne farò a meno, i risultati li cerco con questi. Naturalmente, sul piano tattico, l’Atalanta di quest’anno, con tante facce nuove e con giocatori dalle caratteristiche tanto diverse, non poteva essere quella delle stagioni precedenti, quella che aveva non soltanto vinto ma anche dato spettacolo, quella che era andata a segnare sette gol a Torino, sette a Lecce, sei a Udine, cinque a Reggio Emilia, quella che aveva rifilato cinque pappine al Milan e altre camionate di reti un po’ a tutti e dappertutto. Col Papu Gomez, con quel mago Ilicic, con uno Zapata in edizione forza della natura, con Muriel giocoliere sopraffino, la filosofia era abbastanza semplice: fatto un gol andavi a cercarne subito un altro, fatto il secondo puntavi al terzo e poi al quarto, al quinto e via discorrendo. Tanto, con quella batteria di fenomeni là davanti, segnare non era un problema…
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