CASTIONE – Raffaella, allevatrice e le sue ‘ragazze’ “Resisto ma siamo in ginocchio, siccità, foraggio alle stelle, crisi energetica ma non abbatterò le mucche” “Mi rifiuto di lavorare in questo modo, per sfamare la coscienza degli animalisti che, dal loro salotto di casa, si sentono tanto moralmente superiori, mentre, con il gatto sulle ginocchia fanno il tifo per il lupo che sbrana le pecore. Chi ha deciso che il lupo è un animale di serie A, e una pecora un animale di serie B?”.

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“Mi impongo di sperare che prima o poi ne usciremo, come i nostri vecchi che riuscirono a
risorgere dopo la guerra; ma ne usciremo con le ossa rotte, e con la consapevolezza che non siamo stati capaci di prevedere quanto stava succedendo, e men che meno di correre ai ripari con serie politiche di programmazione, di pianificazione e di coordinamento che avrebbero potuto evitare questo disastro totale”.
Raffaella Angelini, classe 1969, appassionata allevatrice da sempre e rimasta sola alla guida della sua micro azienda agricola dopo la perdita del marito Lorenzo Ferrari, non ‘molla’ e non ha intenzione di vendere le sue ‘ragazze’, come chiama affettuosamente le sue vacche da latte con cui produce formaggi buonissimi che poi spedisce in tutta Italia.

La tempesta perfetta e la strage delle vacche.

Quando parla di disastro si riferisce alla “tempesta perfetta” che ha colpito e continua a colpire anche il suo settore, aggravando a dismisura problemi che c’erano anche prima.
“Per metterci in ginocchio si sono sommati la crisi energetica, l’aumento dei prezzi, la siccità e l’aumento dei selvatici, cinghiali, orsi, lupi, cervi e caprioli. I prezzi sono fuori controllo, sia i mangimi che il gasolio sono aumentati in poco tempo del 60%, non è possibile progettare nulla né fare previsioni, l‘aumento dei prezzi dei nostri prodotti non coprono i rincari dei costi, l’unica cosa che ora rende bene è vendere le bestie per farne carne da macello…
Così si alimenta la strage delle vacche già in atto dalla primavera scorsa, una strage che
prevedibilmente continuerà anche nel prossimo autunno. La crisi riduce a zero i margini di
guadagno, ci costringe a ‘limare’ le spese fino all’osso, gli allevatori cercano di produrre di più per poter guadagnare, ma l’aumento dell’offerta provoca inevitabilmente un’ulteriore diminuzione del prezzo al consumo. Del resto i nostri prodotti non si possono ‘stoccare’ in attesa di tempi migliori, sono merce deperibile e vanno venduti in fretta.
C’è anche da dire che gli allevatori non hanno mai saputo vendere e delegano ad altri la vendita, ma così la filiera si allunga e si perdono i vantaggi della filiera corta: insomma è proprio il metodo che è sbagliato, da anni si lavora per limitare i costi ed essere competitivi, quando si sarebbe dovuto lavorare per aumentare il margine di guadagno.
Ora i costi sono fuori controllo e il margine è drammaticamente basso, ma le strutture e
l’organizzazione per alzarlo non ci sono e richiederebbero troppo tempo, quindi si rischia di chiudere. Quanto ai guai della siccità di quest’estate sono ben noti; scarsa o nulla la produzione di erba e di fieno, e quando finalmente è piovuto e i prati ricominciavano a verdeggiare, ecco i cinghiali che me li hanno devastati, annullando così la speranza di avere ancora un po’ d’erba per il pascolo.

E nessuno fa nulla. So che in Valzurio e a Gandellino ci sono anche i cervi che, oltre a pascolare liberamente, distruggono reti e recinzioni disperdendo le vacche.
Non parliamo poi delle stragi quasi quotidiane di pecore e capre da parte del lupo sugli alpeggi, da noi ancora limitate, ma facilmente prevedibile per il futuro. Ci consigliano di usare cani da difesa, ma sono animali ‘da difesa’, appunto, e qui da noi le montagne sono piene di turisti, il rischio di aggressione è alto e la convivenza è già complicata…

Troppa gente in montagna e troppa ignoranza delle nozioni di base complicano un lavoro già difficile, soprattutto quest’anno, senza erba e senza acqua, e col morale a terra. Mi dicono che i nostri alpeggiatori, quando scenderanno dalle malghe, venderanno parecchie vacche ai macelli, sapendo che sarà molto difficile tornare indietro, perché per fare una vacca in grado di produrre latte ci vogliono almeno tre anni, ammesso che uno voglia ricominciare, in queste condizioni”.

La gente non sa più cos’è la natura. Compra la carne nei vassoi di polistirolo e si indigna per le macellazioni Raffaella non parla certo per sentito dire: ha gestito per 20 anni una cooperativa di produttori, fa parte del Direttivo provinciale della Coldiretti e del Parco delle Orobie.
“I nodi del nostro settore stanno venendo al pettine, ma la sua debolezza c’era già da molto tempo… Quando è scoppiata la guerra Russia-Ucraina mi sarei aspettata che qualcuno dal Governo chiamasse le nostre associazioni per decidere insieme il da farsi, cosa programmare, cosa seminare, ecc. per scongiurare la crisi alimentare, dal momento che siamo noi a produrre il cibo e non a caso il nostro è il settore economico primario.
Invece niente, nessuno ci ha interpellato, siamo allo sbaraglio, al ‘si salvi chi può’. Ognuno cerca di sfangarla alla meno peggio. Eppure, il tempo ci sarebbe stato perché il panorama della crisi era già chiaro fin dalla primavera scorsa: quando già erano aumentati i mangimi si sapeva che scarseggiavano i cerali, perché i cinesi da tempo ne stavano facendo incetta; e si sapeva anche che il grano che compriamo dall’Ucraina è solo il 2,5% del totale che si consuma in Italia…
SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 23 SETTEMBRE

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