Premolo “PASCOLI D’ORO”

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    Premolo “PASCOLI D’ORO”

    Iniziato il processo dei “Pascoli d’oro”. A giudizio il premolese Gian Mario Bana e le sorelle: avrebbero truffato lo Stato percependo  illegalmente contributi

    Anna Carissoni

    Il processo relativo alle vicende dei cosiddetti   “Pascoli d’oro” è cominciato nei giorni scorsi in Corte d’Assise di Bergamo anche se gli alpeggi interessati insistono sul territorio camuno: si tratta infatti di centinaia di ettari  in alta Valcamonica, per i quali l’Unione Europea ha versato centinaia di migliaia di euro di contributi finalizzati al sostegno dell’agricoltura di montagna. Peccato però che questi estesi pascoli non hanno ma visto animali al pascolo, come documentato  dalle indagini che si sono avvalse anche di droni e che hanno segnalato anche, nelle zone interessate, la presenza di erba molto alta ed evidentemente non pascolata. Una vera e propria truffa, perché i terreni venivano affittati per ampliare la superficie di pascolo dell’azienda e avere dunque accesso ai  contributi  dell’Unione Europea, ma il pascolo non veniva utilizzato affatto, con la duplice gravissima conseguenza di provocare un danno ambientale all’alpeggio stesso e di creare una concorrenza sleale verso le imprese, solitamente di minori dimensioni, che lavorano realmente in montagna portando le il loro bestiame in  alpeggio durante la stagione estiva e sfruttandone i pascoli in modo corretto.

    Il processo, con l’accusa di truffa aggravata, vede imputati un imprenditore agricolo di 44 anni, Gian Mario Bana, che avrebbe  ottenuto erogazioni pubbliche indebite  insieme alle sorelle e ad un socio dell’azienda; ed è incardinato al tribunale di Bergamo perché i Bana hanno la residenza  a Premolo, in Valseriana (BG). L’imputazione a loro carico è di aver superato la concorrenza di altri agricoltori e allevatori con rilanci in denaro esorbitanti per accaparrarsi i terreni, mentre due società, intestate appunto alle sorelle del 44enne, sarebbero servite per incassare i contributi europei, oltretutto maggiorati  perché le ragazze figuravano, per la loro giovane età, destinatarie di ulteriori aiuti economici volti ad incoraggiare ed aiutare i giovani allevatori. Il maresciallo Riccardo De Gennaro, dei Carabinieri Forestali di Breno, che ha condotto le indagini, ha ricostruito in Corte d’Assise a Bergamo i fatti e le contestazioni avanzate all’imprenditore: aver costituito le società  con il preciso intento di  accaparrarsi i fondi dell’Unione Europea, ed aver utilizzato i terreni destinati al pascolo per un periodo inferiore a quanto previsto dalle norme europee in materia.  

    I RETROSCENA

    Di questa (brutta) vicenda avevamo iniziato a parlare nel 2017, quando un comunicato stampa del Gruppo Carabinieri Forestali di Brescia aveva informato che sette tra amministratori comunali, pseudo-imprenditori e liberi professionisti avrebbero dovuto rispondere  di varie ipotesi di reato legate alle truffe sui pascoli della Valcamonica. Su ordine del Gip del Tribunale di Bergamo erano  stati sequestrati beni (case e auto di lusso) e conti correnti per 500 mila euro e l’attività investigativa, condotta dai Carabinieri Forestali di Breno, traeva origine da sospette concessioni di alpeggi e malghe ad imprenditori della bergamasca da parte di alcune amministrazioni locali a canoni di locazione esorbitanti che di fatto escludevano la tradizionale piccola imprenditoria locale, la quale per anni aveva avuto in concessione tali terreni per il pascolo estivo degli animali, creando un vero e proprio cartello del malaffare. Si specificava inoltre  che gli alpeggi interessati dall’indagine erano  quelli di Malga Zumella del Comune di Paspardo e Malga Frisozzo del Comune di Cimbergo. Gli inquirenti, attraverso numerosi sopralluoghi in loco, acquisizioni documentali, analisi dei conti correnti ed attività di intercettazione telefonica erano riusciti a scoprire un complesso sistema finalizzato alla frode dei contributi europei. L’indagine, coordinata dapprima dal P.M. Ambrogio Cassiani della Procura di Brescia e successivamente, a seguito del passaggio del fascicolo alla Procura della Repubblica di Bergamo, dal P.M. Fabrizio Gaverini, aveva infatti portato a scoprire una serie di giovani prestanome, che avevano accesso ai rilevanti vantaggi e alle agevolazioni previste dalla normativa agricola del settore. La frode era dunque consistita nella fittizia conduzione degli alpeggi perché quei terreni non avevano mai visto animali al pascolo, e ciononostante avevano avuto  dall’U.E. più di 500 mila euro di contributi per i soli anni 2016 e 2017. Il sistema inoltre prevedeva, attraverso apposite perizie giurate dal contenuto sostanzialmente falso, l’aumento esponenziale delle superfici dichiarate a pascolo, ad esempio alcuni terreni oltre i 2800 m.s.l.m., dichiarati pascolati, avevano pendenze superiori al 50%, impraticabili anche a provetti alpinisti.

    Di questa vicenda il nostro giornale si era occupato anche in seguito:  all’inizio di maggio del 2018 avevamo sentito, tra l’altro, il sindaco di Cimbergo Gianbettino Polonioli e quello di Paspardo, Fabio De Pedro perché gli  “affitti di lusso” di due alpeggi di proprietà del Comune di Cimbergo, Frisozzo e Marmor e di uno del comune di Paspardo, l’alpe Zumella, erano finiti nel mirino della Procura  in seguito all’esposto di un allevatore del luogo escluso dall’assegnazione di un fondo rustico di Cimbergo.  Era già emerso anche altrove, per esempio in Valtellina, che numerosi alpeggi delle Valli alpine e Prealpine, tradizionalmente affittati ad allevatori della zona, quasi sempre gli stessi, a prezzi accessibili,  attiravano da tempo  l’attenzione di dei grossi imprenditori agricoli della Bassa Bresciana e Bergamasca, che se li aggiudicavano offrendo per l’affitto cifre molto più consistenti di quelle offerte dai mandriani locali. Il che naturalmente contribuiva a rimpinguare le casse comunali dei paesi interessati, a scapito però degli allevatori tradizionali, i quali non potevano permettersi di pagare somme così sostanziose. Nel caso di Cimbergo, l’ammontare della cifra era passato dai 300 agli 8.000 euro offerti da un imprenditore bergamasco, mentre per la Zumella lo stesso imprenditore aveva offerto 20.000 euro contro i “soliti” 6.000. All’epoca il sindaco di Paspardo  ci aveva detto di essere tranquillo in quanto tutte le normative vigenti  relative al bando erano state rispettate, mentre anche il primo cittadino di Cimbergo aveva ribadito la sua convinzione di aver fatto l’esclusivo interesse del proprio Comune,  in quanto il bando aveva aumentato il valore di  una malga decentrata e marginale,  che per il Comune stesso non era mai stata una grande risorsa. (L’alpeggio Frisozzo infatti è  raggiungibile solo a piedi con più di 4 ore di cammino oppure in 2 ore di mulattiera disagevole  e anche  la relativa baita è mezzo diroccata e sprovvista di strutture per la caseificazione). Marmor era stato affittato al cremonese Daina, affittuario anche di un altro alpeggio di Cimbergo sul versante trentino, mentre la Zumella di Paspardo era stata affittata a Jennifer Bana, una delle sorelle ora a processo. L’alpeggio era stato poi utilizzato da Salvo Paroletti,  storico allevatore locale il quale, pur non pagando l’affitto, non aveva però potuto beneficiare di nessun contributo. Il gregge di 300 capi riconducibile a Gian  Mario Bana e famigliari era stato affidato nel 2016 ad un pastore rumeno che alloggiava in una roulotte e pascolava per lo più su terreni privati, finché era stato trasferito alla malga Frisozzo, caricata nel settembre successivo con degli asini per conto dell’azienda ‘Burnigàia’, nel Comune di Premolo, della famiglia Bana. Ma nonostante una nevicata precoce avesse impedito di garantire i 45 giorni di pascolo  previsti in deroga dalla Regione per incassare i premi, pare che questi premi fossero stati incassati lo stesso: e anche di questo si erano concentrate le indagini della Procura. Nello stesso mese avevamo pubblicato una lunga intervista al ruralista prof. Michele Corti dell’Università di Milano, che stava conducendo un’accurata inchiesta parallela sull’argomento sul sito ruralpini.it, dopo la pausa di qualche giorno richiestagli dalla Procura stessa.

    Si tratta di un meccanismo perverso – ci aveva detto – fatto di distorsioni e complicazioni burocratiche, compiacenza nei confronti di soggetti e pratiche spregiudicate, controlli solo formali, irresponsabilità amministrativa, che ha trasformato le misure di politica agraria a favore della montagna nel loro esatto contrario. Quelli che sulla carta, con le ultime riforme della politica agricola europea, apparivano dei forti sostegni all’attività agrozootecnica e pastorale in montagna, si stanno troppo spesso rivelando degli strumenti di incentivo alla speculazione. Come conseguenza molti allevatori e pastori restano esclusi dall’accesso ai contributi, i pagamenti diretti sui titoli pace misure dei piani di sviluppo rurale”.

    I due sindaci comunque non erano stati indagati, e si erano detti dispiaciuti del fatto che  in tutti i notiziari  si fosse parlato, spesso a sproposito, di Paspardo e Cimbergo.

    LA FAMIGLIA BANA

    Araberara Valcamonica aveva anche cercato notizie, proprio a Premolo, su GianMario Bana  e la sua famiglia . Conosciuto come “il bergamasco”, – avevamo scritto – ha 42 anni ed ha alle spalle un corposo curriculum nel settore del biogas.  Il padre Osvaldo, la mamma Francesca e le sorelle Jennifer, Fabiana e Jessica sono titolari di diverse aziende agricole, individuali e societarie, come si evince dalle targhette che  spiccano sulla colonnina dei campanelli della loro casa di Premolo. I vicini però ci avevano detto che da anni abitavano a Pavia e che queste persone non le vedevano mai, salvo il padre che frequentava una contrada fuori paese, Ceradello, dove allevava alcuni animali. Il capofamiglia, infatti era arrivato  in jeep e non aveva voluto parlarci, anzi ci aveva  mandato via affermando  che giornalisti ne avete scritte fin troppe, di barzellette , che la sua famiglia era a posto e non aveva nulla da temere. I più anziani però lo ricordavano da piccolo ,ilGian Mario, e dicevano che era uno scolaro molto sveglio. Tanto sveglio da aver saputo approfittare alla grande delle norme vigenti che consentono un ampio spazio di manovra agli speculatori: chiunque infatti può costituire una srl, basta disporre di un piccolo capitale e di un agricoltore prestanome e si può mettere in piedi una società agricola che in realtà agricola non è: in pratica, una truffa legalizzata.

    Dopo la deposizione degli inquirenti – i carabinieri Forestali di Breno (Brescia) – sono stati sentiti al processo, che si sta celebrando al tribunale di Bergamo, i testimoni, tra cui un imprenditore agricolo di Ceto (Brescia) che ha ricostruito i meccanismi degli affitti di alcune aree malga Zumelladi Paspardo (Brescia) e malga Frisozzo di Cimbergo (Brescia) che hanno avuto aumenti a dismisura. Il Pm Maria Esposito ha posto domande ai testimoni, ribadendo che gli imputati non badavano a spese pur di accaparrarsi i terreni, invece il legale dei quattro imputati ha ribadito che i fondi vennero percepitati legalmente. Si torna in aula il 22 marzo.