Ci sono ferite difficili da guarire, quelle che ti lasciano cicatrici sull’anima e che sono più profonde di quelle incise sul corpo. Quelle che ti lasciano amarezza, che non trovano risposte, che restano senza un perché. Forse perché un perché non esiste. Come l’aggressione subita da Stefano Turchi, 54 anni, dirigente del Brusaporto, ex calciatore professionista, malato di Sla, durante la partita di calcio giovanile tra la sua squadra e l’Uesse Sarnico valida per il campionato Allievi regionali èlite Under 17.
Ci sono giornate qualunque che rischiano di diventare pagine di vita impossibili da dimenticare, episodi che per molti passano tra le righe di cronaca e poi finiscono in un posto lontano, dimenticati, per altri sono indelebili. Sulla pelle. Sul cuore. Stefano Turchi arriva da Pistoia, sua terra d’origine, ma dagli anni Duemila casa sua è la Val Calepio, prima Grumello del Monte e poi Tagliuno. Il calcio l’ha portato in giro per l’Italia, dal Prato alla Carrarese, da Ancona dove ha conquistato la Serie A alla Romanese, squadra con cui ha chiuso la sua carriera.
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