Lo ‘Spirito del Pianeta’ ha ormai chiuso i battenti. Fiumi di persone si sono riversate alla ‘Spessa’ di Clusone, immergendosi nell’atmosfera magica generata da questo mix di ‘global’ e ‘local’. Al festival dei popoli indigeni che quest’anno era in salsa baradella c’erano Maoori e Aztechi, Afghani e Maasai, Indiani d’America e Maya, oltre ad alcuni Monaci tibetani. E, accanto a loro, c’era anche un esponente del cosiddetto ‘popolo blu’.
Zakaria Yahaya ha lasciato la sua tenda ed è venuto a trovarci in redazione, ovviamente con l’abito tradizionale dei Tuareg, blu dalla testa ai piedi. Anzi, blu anche sopra la testa, avvolta da un elegante turbante (ovviamente blu…).
Insieme a lui facciamo un viaggio nel suo mondo, nella terra e nel deserto del ‘popolo blu’. Un viaggio che facciamo non in groppa a un dromedario, ma con la mente.
Le radici di Zakaria sono a Timia, in Niger… da non confondere con la più nota Nigeria, che si trova più a sud ed è un’ex colonia inglese.
“In Niger si parla francese, perché era una colonia della Francia. Noi Tuareg abbiamo però la nostra lingua e usiamo quella. Io sono nato in un accampamento, poi sono andato a vivere in un villaggio. Da 32 anni, però, abito in Italia, prima a Milano, poi a Roma, dove vivo con mia moglie”. Tua moglie è italiana? “Sì, ci siamo conosciuti a Milano”.
Torni spesso al tuo Paese? “Sì, tutti gli anni, anche due volte all’anno. Mi piace tornare e rivedere i miei parenti e i miei amici. E poi accompagno i turisti nei viaggi culturali, spiegando le tradizioni e il modo di vivere di noi Tuareg”.
Quanti abitanti ha il tuo villaggio? “Adesso ha quasi 10.000 abitanti”.
Però sei nato in un accampamento. “Sì, perché i miei erano nomadi”. Ma non tutti i Tuareg sono nomadi? “In origine sì, eravamo tutti nomadi. Adesso però ce ne sono anche stanziali, che vivono nei villaggi e fanno i contadini. Mantengono però le tradizioni dei Tuareg. Ce ne sono anche molti che vivono nelle città del Niger. Magari si vestono ancora con gli abiti blu tradizionali, ma ormai vivono come tutti gli altri cittadini. Ho parenti giovani che vivono in una città e non conoscono la lingua dei Tuareg, parlano solo in francese. Noi invece, nel nostro villaggio, conserviamo quello che è da sempre il nostro modo di vivere, la nostra cultura, le nostre tradizioni. E poi, ci sono ancora tanti Tuareg che vivono come nomadi, spostandosi da un posto all’altro. I miei zii, ad esempio, vivono ancora in campagna e si spostano sempre”.
In campagna? Uno immagina il deserto, non la campagna. “Sì, non c’è la campagna verde come qui. I Tuareg seguono il verde, cioè se ha piovuto in un posto vanno lì perché, piovendo, si risveglia la vegetazione. Poi, quando piove da un’altra parte, si spostano ancora. Quindi loro seguono il verde”. Certo, perché il verde sorge dove ci sono le piogge. Ma piove nel deserto? Noi, pensando al deserto, immaginiamo le dune e, al massimo, un’oasi qua e là.
“I Tuareg attraversano il deserto, ma gli accampamenti vengono fatti ai confini del deserto, dove appunto c’è un po’ di verde”.
Noi Europei abbiamo conosciuto i Tuareg grazie ai film. Ma vi spostate nel deserto a piedi o con i cammelli? “Con i cammelli. Ci sono carovane con migliaia di cammelli”. Cammelli o dromedari? “In effetti sono dromedari, anche se si dice sempre ‘cammelli’. Sono però quelli con una sola gobba”.
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