Quando c’era la littorina

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    La littorina partiva da Clusone alle 7 e, pur con tutte le fermate lungo la Valseriana, alle 8 in punto arrivava a Bergamo. Sempre. Tant’è che, allieva delle Magistrali, non dovetti mai approfittare della tolleranza di 5 minuti di ritardo che il Preside concedeva agli studenti della provincia: alle 8,10, ora d’inizio delle lezioni, eravamo puntualmente in classe anche noi che “venivamo dalla montagna”. Correva l’anno di grazia 1963.

    Sembra che oggi – anno di grazia 2015 – circa un’ora ci voglia per arrivare da Clusone ad Albino. Da lì poi, come ha scritto una studente di Villa d’Ogna ai mass-media locali – bisogna prendere il tram fino a Bergamo; e così, per arrivare a Dalmine dove lui studia, di ore ce ne vogliono due e per giunta, sempre secondo il nostro testimone, “ ogni volta che si cambia bisogna fare la guerra per prendere un posto e comunque si è sempre ammassati come animali”. E naturalmente bastano un po’ di traffico in più, una nevicata o un incidente per far saltare le coincidenze e non rispettare i tempi.

    Come dire che mezzo secolo è passato invano perché, anche se i più ottimisti dicono che i tempi di percorrenza sono rimasti più o meno gli stessi – il che è vero solo in teoria – non si può negare che la qualità del servizio pubblico sia peggiorata di molto.

    Io prendevo la littorina a Ponte Nossa. Al volo, di solito, perché mi alzavo all’ultimo minuto, tanto, se c’era da ripassare qualche lezione, potevo benissimo farlo in treno. Perché in treno si poteva studiare, leggere, conversare, fare due passi per sgranchirsi le gambe, persino giocare a carte, persino cantare, a volte.

    Ogni fermata era, per così dire, personalizzata, tanto che anche nei mattini più bui sapevamo a che punto del viaggio ci trovavamo, quanto tempo ci separava dalla temuta interrogazione. Eravamo a Vertova quando sentivamo la voce inconfondibile del Masserì studente della mitica Esperia di allora. Il Masserì cantava sempre e non gli mancava il senso dell’umorismo: una mattina di dicembre che nevicava a larghe falde salì in carrozza intonando a squarciagola “Son tornate a fiorire le rose….”! Se poi dalla portiera

    faceva capolino l’austera testa canuta del Maestro Daniele Maffeis (e pensare che l’avevamo battezzato “Beethoven” prima di venire a sapere che era davvero un grande musicista), sapevamo di essere a Gazzaniga, mentre la fermata di Nembro era segnata in modo inconfondibile dalla salita di passeggeri che parlavano aspirando rumorosamente le ö e le ü…..

    Anche i biglietàre erano personaggi familiari: più o meno assidui nei controlli, ma tutti consapevoli dell’importanza del loro ruolo, capaci di scoraggiare autorevolmente, anche solo con un’occhiataccia, qualsiasi discorso men che dignitoso e men che rispettoso nei confronti di noi ragazze.

    I pullmann che oggi percorrono la Valle o sono vuoti o portano passeggeri pigiati come sardine. La gente deve spesso stare in piedi perché non c’è posto a sedere, e ad ogni frenata sono scossoni a non finire. La promiscuità eccessiva provoca scontri e discussioni, e non solo verbali, e pare che sui pullmann succeda di tutto, tanti anziani non ci salgono più perché hanno proprio paura.

    Tutta colpa dell’aumento vertiginoso del tasso medio di maleducazione? Non solo, credo. La colpa è anche di chi ha voluto dismettere la vecchia littorina che rendeva vivibili, ricche di umanità, spesso persino piacevoli anche le ore del viaggiare, per lavoro o per studio. Ore che ai viaggiatori di oggi appaiono stressanti ed odiose, insomma ore di vita sprecata.

    Pullmann e auto non solo hanno rovinato l’ambiente, congestionato ulteriormente il traffico ed incrementato i livelli di inquinamento atmosferico ed acustico, ma hanno senz’altro contribuito ad innalzare anche i livelli dell’individualismo e dell’incomunicabilità.

    “Quando il treno era arrivato in Valseriana per la prima volta – ci raccontava la mia Nonna paterna – tutti i bambini del paese erano corsi in ‘Costa Èrta’ per vedere ‘ol bào négher’ che risaliva il fondovalle come una sorta di gigantesco millepiedi. Spalancavano  tanto d’occhi, meravigliati ed increduli. Molti erano spaventati, qualcuno addirittura piangeva”.

    Correvano i lontani anni ’20.

    A quasi un secolo di distanza nessuno più si sogna di paragonare i mezzi di trasporto ad enormi insetti mostruosi. Ma il servizio di trasporto pubblico in Valseriana fa ancora spavento, e non solo ai bambini. E fa ancora venir voglia di piangere.

    Anna Carissoni