A casa mia, quand’ero piccola, le parolacce erano proibite: mia madre le aborriva e interveniva duramente se ci sentiva darci, tra noi sorelle, anche solo della “stupida”… E il castigo era invariabilmente accompagnato dalla sentenza “Ol rispèt e la creànsa i sta bé ach a cà dol diàol!” (Il rispetto e la buona educazione stanno bene anche a casa del diavolo), mentre la Nonna rincarava “’S cumincia coi bröte parole e ‘s sa mia ‘ndó ‘s va a finì!” (Si comincia con le brutte parole, e poi non si sa dove si va a finire).
Anche alle Magistrali il prof. di tirocinio ci raccomandava: “Mai mancare di rispetto ai bambini, nemmeno con le parole! Se si comportano male non direte loro ‘sei stupido’, bensì ‘hai fatto una stupidaggine’, e li inviterete a riflettere spiegando loro il perché della vostra riprovazione”.
Una ricerca recente dice che il 30% del vocabolario più comune degli Italiani è costituito da parolacce, di cui fanno uso sistematico non solo i giovani ma anche gli adulti. Gli psicologi dicono che le parolacce sono uno dei tanti modi maldestri con cui ragazzi e adolescenti cercano di “fare branco perché sono in crisi di identità”… Ma che dire degli adulti che riconducono ogni situazione ed ogni persona a poche parole oscene che “amalgamano tutto verso il basso”?
(La stessa ricerca dice anche che il vocabolario del cittadino medio è molto ridotto e che il lessico utilizzato dalla maggioranza delle persone è di una povertà impressionante).
Gli insulti sono poi ogni giorno in Parlamento, sui giornali, nello spettacolo, nella satira, nei twitter e nei social-network, nei talk show e persino nella tv delle ore cosiddette protette. Insomma, l’Italia, che era il Paese del dolce stil novo, di quel formalismo verbale che proteggeva la civiltà dello stile e delle relazioni tra le persone, è diventata il Paese della corruzione anche a livello di linguaggio.
Elémire Zola diceva che “il turpiloquio è indotto dalla convivenza coatta, essendo tipico degli schiavi, degli eserciti e delle burocrazie”. E’ anche “la forza del pensiero debole” e “la scorciatoia per non pensare”: la forza della ragione viene sopraffatta da quella della volgarità e rende impossibile lo scambio dei pensieri, il dialogo, la conversazione civile; la spia di un vuoto non solo di intelligenza, ma anche di dignità e di umanità, perché umilia sia chi lo pratica che chi lo subisce. Il turpiloquio crea un’atmosfera fredda e brutale, è impossibile creare empatia e comprensione tra chi definisce abitualmente persone e fatti con termini mutuati esclusivamente dall’apparato sessuale ed escretorio… E’ doloroso ed odioso perché riduce le parole che attengono alla dimensione più privata ed intima delle persone, degna di riserbo e di delicatezza, a significare qualcosa di ignobile, di degradato e di degradante: un vero e proprio allenamento alla violenza che andrebbe affrontato come emergenza nazionale perché, com’è purtroppo esperienza quotidiana, si fa presto a passare dalle male parole alle male azioni, che ne sono la diretta conseguenza.
“Prima de parlar, tàsi!”- raccomandavano i Dogi agli ambasciatori della Serenissima in procinto di partire per le missioni diplomatiche. A significare che prima di parlare è meglio riflettere su quanto si sta per dire e su come lo si dirà. Un consiglio più attuale che mai.