L’INTERVISTA ALLA MEDAGLIA D’ARGENTO AI MONDIALI DI ATLETICA – Roberto Rigali: “Ho giocato 10 anni a calcio, ma da piccolo volevo fare il pilota come Valentino Rossi”

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Non possono che andare di… corsa le emozioni di Roberto Rigali, rientrato pochi giorni fa nella sua Borno, dopo la gioia mondiale di Budapest. Una medaglia d’argento che vale quanto un oro quella conquistata nella staffetta 4×100 con i compagni (e campioni olimpici) Azzurri Marcell Jacobs, Filippo Tortu e Lorenzo Patta. Per Roberto, che è l’unico non professionista (non fa parte di un corpo militare ed è uno dei pochi atleti azzurri a non esserlo), è ancora come vivere in un sogno.

Come ci si sente con una medaglia d’argento mondiale al collo tra l’altro all’esordio? “Se devo dire la verità non ho ancora realizzato, ma è una sensazione davvero bella, che ripaga tanti sacrifici”, sorride dall’altra parte del telefono.

Una medaglia che Roberto ha portato nella sua casa di Bergamo e “l’avevo appoggiata sul forno microonde e non la volevo guardare ma ora l’ho portata con me a Borno, l’ho messa in un cassetto e resterà qui. Sai, non sono uno che guarda molto le medaglie…”.

Ma questa è… particolare: “Sì, è vero, ma non ho ancora pensato a dove metterla, magari resterà sul tavolo in sala, vedremo…”.

Insieme a Roberto riavvolgiamo il nastro, torniamo a quella gara che resterà nel cuore per sempre: “Le emozioni sono iniziate molto prima, quando ho messo piede sull’aereo che mi stava portando al Mondiale. Sapevo di correre e quindi l’unica preoccupazione che avevo era quella di stare bene fisicamente, di non avere nessun acciacco altrimenti mi avrebbero sostituito… non avrei potuto rischiare niente. Abbiamo fatto delle prove e sono andate tutte bene. Il giorno prima della batteria ho dormito poco… ho perso un appoggio a metà curva però sono andato bene lo stesso e quindi la finale non la potevo sbagliare e non ho sbagliato, sono andato un pelo più forte. Emozioni? L’emozione era fuori di testa con tutto quel pubblico attorno, ma io cercavo di non guardare, guardavo il mio blocco e basta…”.

Come si fa ad isolarsi in mezzo a tutti quegli occhi puntati addosso? “Per forza devi cercare di isolarti, sentivo urlare il mio nome ma non mi sono mai girato”.

E i pensieri? “Nella nostra gara non pensi a cosa sta succedendo, non pensi a nulla, chiudi il cervello, vai a manetta e basta. Devi solo pensare a quando chiamare il nome per l’avversario per fargli tirar fuori il braccio. Per il resto ti godi la gara e guardi i tuoi compagni correre”.

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