Le sole due anime vive in giro per la contrada sono loro, Jhied e Lhiaa: seduti sulla panchina davanti alla chiesa, parlottano tra di loro e fissano la strada, casomai passi qualcuno, oppure un autoveicolo, a rompere la monotonia del paesaggio. Vengono da panorami molto diversi, sono parte del gruppo di otto persone- otto donne, due ragazzi e una ragazza – arrivate a Gavazzo una settimana fa, e vogliono ricordare soltanto l’ultima parte del viaggio, quella che da Lampedusa, in aereo, li ha portati a Milano, e poi da lì in auto fin qui, accompagnati dalla responsabile degli immigrati nella ex-casa vacanza in cui hanno trovato alloggio. Ma qui non ci sono solo loro: c’è un gruppo di algerini e di africani dell’area subsahariana, e tutti i giorni ne arrivano di nuovi, pare che domani ne arriveranno altri quattro, ma con la responsabile non riusciamo a parlare perché è andata all’aeroporto ad accogliere, appunto, altri ospiti.
I due ragazzi – 13 e 14 anni – mi spiegano nel loro francese un po’ stentato che vogliono vivere in Italia e andare a scuola: mi pare di capire che la settimana prossima andranno alla scuola media di Valbondione, ma per ora non posso dire se la loro speranza si avvererà, ho il dubbio che le procedure burocratiche lente e farraginose previste dalle normative in tema di immigrati non glielo permetteranno tanto facilmente…Ma non me la sento di spegnere il loro entusiasmo: “A scuola ci saranno altri ragazzi, potremo anche giocare con loro e diventare amici, qui non abbiamo nessuno con cui parlare e giocare, questo paese è deserto, non c’è mai in giro nessuno e tutte le case hanno le porte e le finestre ‘fermées’, non sono abitate… E poi vogliamo continuare a studiare”.
Jhied da grande vuole fare il giudice, mentre Lhiaa preferirebbe fare il medico, oppure il poliziotto. Comprendo meglio questo loro desiderio quando, accompagnandomi alla casa che dalla chiesa dista pochi passi, mi presentano la loro mamma, Nissaf: “Siamo riusciti a scappare da una situazione disastrosa, siccome volevo separarmi da un marito prepotente e violento, rischiavo ogni giorno di venire uccisa, mi prometteva che mi avrebbe sgozzata (veramente questo Nissaf me l’ha detto facendo il gesto eloquente di chi ti punta al collo una lama, perché né lei né io ricordavamo come si dice ‘sgozzare’ in francese, n.d.r.). Allora mi sono decisa, ho preso i ragazzi e sono fuggita. Su uno dei tanti ‘bateau’, una barca, come tanti altri. Ho temuto mille volte di non farcela, e invece è andata bene, siamo arrivati sani e salvi a Lampedusa”.
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