L’Atalanta in questo lungo racconto è il filo conduttore, la passione ma anche il contesto, il pretesto per raccontarci una vita, un’epoca, un’impresa. È Miro Radici la voce narrante, raccolta e “tradotta” in narrazione dal giornalista sportivo storico de L’Eco, ma adesso al Corriere, Pietro Serina, una specie di “memorie di un ottuagenario” che, per età ed esperienza, può dire quello che vuole e magari cose che non ha mai raccontato prima, quando bisognava tener conto di certi equilibri che potevano far precipitare amicizie, relazioni e consensi.
Il libro ha un titolo piuttosto composito (“Miro Radici, con Pietro Serina: la mia vita con l’Atalanta” e in basso un sommario: “Storie di un calcio romantico”. In controcopertina si precisa già il molto che si troverà nel libro, aldilà del calcio (“La storia dell’Atalanta” ma anche “…e la storia di una dinastia”.
Bisogna cominciare da quel ragazzino di 9 anni, ultimo della nidiata del fondatore dell’impero, Pietro Radici, che viene portato a vedere una partita di calcio allo stadio di Bergamo, dopo aver fatto una sciata a Foppolo ed è incuriosito più dal contesto che dalla partita. È lo stesso ragazzino che siede (immaginiamo silenzioso) al grande tavolo della grande famiglia Radici che ha archiviato l’esperienza dei “coértì de Lef” e ha messo su varie aziende, è già arrivata fin nella lontana Sicilia ma apre aziende in varie parti d’Italia. È il fratello Gianni, di 17 anni più grande di Miro, che succedendo al padre tiene le redini di tutto.
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