Questo varco che mi porta sulla porta di un portale, che non apre e non chiude. Questa luce di novembre che sembra rubare tempo al tempo e se ne va senza il tempo di salutarmi. Queste parole ripetute che ripetono la ripetizione del mio battito di cuore che ansima vita. Le occasioni perse. La fretta. Ci penso sopra e non sono più lì.
Labbra sfaccendate da baciare per sentire caldo in questo primo freddo. Tutta la poesia è scritta nella palpebra che cala, lentamente, per il primo o ultimo sonno, per il sonno eterno o un eterno bisogno di sonno. Quelle parole in attesa, di venire di poesia dentro un varco, già, quel varco del portale che non apre e non chiude.
Quelle false attese dove speriamo di arrivare in fretta per fare quello che vogliamo e poi quando ci arriviamo, a 60, 70 o 80 anni, quando l’alba non ha più un principio o una fine, ed è uguale al pomeriggio e alla sera, quando il tempo diventa improvvisamente diverso, pieno di vuoto, quando tutto sembra novembre, allora mi accorgo che dell’attesa non so che farmene. Ci sono ancora ghiande e coccinelle, acque vive e frutti maturati al sole con cui stare.