CLUSONE – Enrico che alleva alpaca a suon di musica nei prati adiacenti la superstrada Fiorine-Clusone suscitando la curiosità degli automobilisti

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    (Dal 3 maggio 2024) Le femmine ti si avvicinano solo dopo averti osservato a lungo con attenzione e con un certo distacco, da signore distinte e bene educate; poi però, una volta fatte le presentazioni ed acquisita un po’ di confidenza, si lasciano carezzare quel loro pelo straordinariamente morbido, ti sorridono, mostrano di gradire qualche abbraccio e persino qualche bacio in fronte. Poi tornano a pascolare tranquille nei prati adiacenti la superstrada che dalle Fiorine porta a Clusone, in località “Sö ‘n Lèi”, dove ‘abitano’ da circa tre anni, e cioè da quando Enrico Locatelli, dopo 40 anni da commerciante nel suo colorificio, ha deciso di iniziare un piccolo allevamento di alpaca: “Avevamo sempre tenuto qualche animale in questo posto, galline, qualche pecora e qualche capra, un asino, un cavallo, ma a un certo punto mi sono appassionato a questi animali, camelidi di provenienza sudamericana che tra le alture, anche fino a 4000 metri sul livello del mare, trovano il loro habitat naturale. Da lì si sono diffusi ormai in tutto il mondo, grazie anche alla loro capacità di adattamento ed alla loro docilità, ma soprattutto per la loro lana caldissima e preziosa, anche se il mio allevamento non ha scopi commerciali perché la lana che ne ricaviamo viene lavorata solo da mia moglie Anna che ne fa maglioni, scialli e sciarpe per la famiglia e per gli amici”. Ora gli alpaca di Enrico sono sette, tre femmine, Sheila, Reina e Flor, e quattro maschi, Samson, Perù, Vermouth e Niño. Quest’ultimo è il primo nato della compagnia, sopravvissuto ad un fratellino morto poco dopo il parto di mamma Sheila: “Maschi e femmine vanno tenuti separati perché bisogna evitare la consanguineità e perché ci si avvale di maschi di razza in grado di migliorare gradatamente la genealogia dell’allevamento. Perciò anche gli acquisti sono selezionati e richiedono che ci si informi e ci si sposti un po’ in tutta Italia, per esempio il primo esemplare di alpaca andai a prenderlo in Val d’Aosta, mentre Perù l’ho portato qui dalla provincia di Arezzo…. I costi sono conseguenti, non è certo come comprare una pecora o una capra, e la selezione avviene in base alla morbidezza della lana che possono produrre, la più pregiata è quella bianca, più morbida di quella nera o marrone”. Alla tosatura si procede una volta all’anno, prima che arrivi il caldo: “Ci pensiamo mio figlio ed io; abbiamo imparato dai pastori, poi alla trasformazione pensa mia moglie Anna: cardatura e filatura con i metodi tradizionali, poi si formano le matasse che vengono lavate e, una volta asciutte, diventano gomitoli pronti per confezionare ai ferri o all’uncinetto, sciarpe, maglie e maglioni particolarmente caldi e confortevoli”. Il colore dei capi viene ottenuto lavorando insieme lane di diverso colore, per esempio un maglione grigio si ottiene mescolando lana bianca e lana nera, ovviamente in proporzione alla sfumatura di grigio che si vuole ottenere. Volendo Enrico potrebbe commercializzare anche le deiezioni dei suoi animali che costituiscono un concime buonissimo, considerato secondo, per efficacia, solo al guano dei pipistrelli; ma non è il suo caso, perché quello dei suoi alpaca finisce nel mucchio indistinto dei materiali di scarto che poi utilizza come letame, sia per l’orto che per i prati e i campi da cui ricava anche mais e frumento per il consumo famigliare: “E’ poi curioso il comportamento degli alpaca a questo proposito: non spargono le loro deiezioni ovunque si trovano a pascolare, come fanno le pecore e le vacche, ma individuano un posto ben definito che destinano a ‘toilette’, solo in quello si recano a fare i loro bisogni”. Gli alpaca, col quel loro pelo così lungo e morbido, sono ben protetti dalla pioggia e pascolano all’aperto anche quando piove, solo quando piove troppo forte si rifugiano spontaneamente sotto la loro tettoia. Si nutrono solo di erba e di fieno, anch’esso prodotto in loco e in quantità più che sufficiente a sfamarli tutti. Prati a disposizione, soprattutto dopo l’ultima fienagione della stagione, ce ne sono tanti nei dintorni della cascina, dal piccolo altopiano fino alla zona del “Lirù”, e così sono sempre più frequenti le persone che si incuriosiscono quando li vedono percorrendo in auto la superstrada: “Sì, molte persone, soprattutto famiglie con bambini, vengono a chiedermi di poterli vedere da vicino, ma da un po’ di tempo sono molte anche le scolaresche che ci fanno visita e mi tempestano di domande su questi animali ‘strani’ e fino a pochi anni fa sconosciuti dalle nostre parti. Sono numerose anche le Pro Loco e le altre associazioni che ci chiedono di portarli a fare ‘colore’ nelle loro manifestazioni, come quelle che organizzano i villaggi e i mercatini di Natale o le rappresentazioni della transumanza, come quella di Schilpario. Perciò, dal momento che gli alpaca camminano molto lentamente, mi sono fornito di un piccolo rimorchio con cui posso trasportarli in giro”. Anche se, almeno per ora, non si tratta di un gregge molto consistente, l’allevamento di Enrico e dei suoi famigliari richiede un impegno notevole: “Naturalmente, perché come tutti i tipi di allevamento comporta una presenza assidua ed attenta e anche questi animali vanno tenuti sempre d’occhio e lontano dai pericoli, come le reti mobili dei recinti dove a volte infilano il muso e non riescono più a liberarsi; gli alpaca vanno inoltre tenuti lontano da asini e capre, bestie di cui essi non gradiscono affatto la compagnia… Anche i tempi e le modalità di riproduzione – la gestazione di un’alpaca dura un anno intero – esigono attenzione e cura. Ma sono tutte cose che faccio con passione e perciò non mi pesano…”. Con passione, dice Enrico, ma viene da dire anche con amore, se si osservano l’espressione affettuosa e anche un po’ orgogliosa con cui guarda i suoi alpaca e tutti gli accorgimenti che adotta via via per assicurare loro tranquillità e benessere. Una passione che Enrico coltiva insieme a quella per la musica, perché suona la fisarmonica diatonica e il baghèt, sia per soddisfazione personale che per accompagnare i canti tradizionali del gruppo delle “Donne dell’Era”: “Ho cominciato 15 anni fa con il baghèt, uno strumento che mi affascinava fin da bambino e che poi ha conquistato anche mio figlio quand’era appena undicenne. Con lui, insieme ad altri amici suonatori, andiamo in giro la notte di Natale a suonare le ‘pastorèle’ oppure ad animare le rappresentazioni natalizie. Ho imparato a suonare anche la fisarmonica diatonica ed ho fondato il gruppo di musica tradizionale dei “Lanternì”…Insomma la musica mi ha sempre accompagnato ed ora accompagna spesso anche i miei animali: mentre infatti il gatto scappa appena comincio a suonare, gli alpaca, soprattutto le ‘signore’, smettono di pascolare, stanno in ascolto immobili ed attente e mostrano di gradire, soprattutto se suono musica sudamericana. Mah, magari è solo una mia fantasia, ma mi chiedo se qualche ricordo della loro terra d’origine sia rimasto nel loro DNA. Chissà, chi può dirlo? Peccato che non possano parlare…”.