Viaggio a Casazza: tra Cherio e Drione che cercavano intimità, alla piccola Pompei sepolta dalla ghiaia, dove si respira storia ma non è facile vederla

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    (Dal numero del 7 giugno 2024) “CASAZZA – VICENDE MILLENARIE TRA CHERIO E DRIONE”, un bel libro edito nel lontano 1995 a cura del Municipio di Casazza. Il titolo è un po’ roboante, forse, però ci sta per amor di patria. Ma andiamo con ordine. Scommetto che molti bergamaschi non hanno la più pallida idea di cosa/dove siano Cherio e Drione. I non bergamaschi, men che meno. Con l’insegnamento odierno della geografia, già è tanto se sappiamo ancora dov’è il Po. Figuriamoci Cherio e Drione! Potrebbe trattarsi, per esempio, di due divinità pagane smarrite dai Celti durante le furibonde lotte con Roma? Dotati di natanti che manovravano con maggior agilità di quelle romane nelle acque basse, i celti si erano infilati nella Val Cavallina, provenienti dall’Oglio, dal Po, dal mare Adriatico, insomma. Cesare li chiamava “Veneti”. Non avevano ancora le gondole, ma usavano delle imbarcazioni di tradizione nordica, i dreki. Un po’ si assomigliavano anche alle gondole che verranno: agili draghi adatti alle acque perfide. Cherio e Drione, – dio lui e dea lei, – si erano inoltrati fra i canneti di Endine per fare un bagno lontani da occhi indiscreti, senza accorgersi che intanto le loro navi avevano tolto le ancore abbandonandoli al loro destino.

    Dispersi e imprigionati nelle impervie valli Orobiche, da millenni stanno cercando una via d’uscita verso il mare, dove sperano di trovare ancora le navi venete ad aspettarli. Hanno scelto la strada giusta, quella dell’acqua che prima o poi, porta sempre al mare. Ma Iside, invidiosa e dispettosa, li ha condannati a portare acqua in eterno al suo lago, d’accordo con Giove pluvio che continua a far affluire acqua nella valle Cavallina, vanificando il loro tentativo di prosciugarla. È andata davvero così? Forse. D’altra parte i libri che parlano di Casazza non abbondano, anzi. Qualcuno di più sulla Val Cavallina, ma non molti. Questo intitolato “CASAZZA – VICENDE MILLENARIE TRA CHERIO E DRIONE”, – aveva un titolo promettente su un paese e una valle di cui non sapevo quasi nulla. Faceva proprio al caso mio.

    L’ho preso in Biblioteca a Casazza. Non vi ho trovato la leggenda di Cherio e Drione, ma l’ispirazione è venuta proprio leggendo con quanta passione ciascuno cerchi di trovare radici nobili alla sua terra e di valorizzarne i cocci, magari dopo averli sbriciolati con maniacale tenacia. Ma questa osservazione non riguarda necessariamente Casazza. “Sulle tracce della Storia” è il primo capitolo del libro, ed è firmato da Mario Suardi, che immagino abbia qualche connessione con una delle famiglie più antiche che abbiano dominato il contado di Bergamo e anche la Val Cavallina. Gabellini inveterati e anche tosti. Ora lo sappiamo: Casazza e la val Cavallina stanno tra Cherio e Drione, che sono due torrenti – o divinità trasformate in torrenti da Iside, se vi piace di più. Sono due torrenti non portentosi, ma piuttosto irrequieti. Sono loro gli scultori, i plasmatori della Valle che chiamiamo Cavallina. Lo hanno fatto in milioni di anni, non millenni. Il perché del nome che sembra a prima vista banale da interpretare, non è invece così semplice da decidere. Le ipotesi più accreditate sono queste: “Il nome della Val Cavallina si vuole derivato dall’allevamento di cavalli che vi teneva la Repubblica veneta (ma è probabilmente in rapporto invece con un gentilizio romano Cavilla o Capella, o con la voce prelatina cabellus nel significato di “ruscello”)” (Enc. Treccani). I cavalli veneti in val Cavallina? Mah! Non è più naturale pensare che il nome derivi semplicemente dalla funzione che questa valle svolge naturalmente da sempre, di “bretella“ a “cavallo” fra Val Camonica e Valle Seriana? Ma non insisto, non avendo scavato abbastanza nella sua terra fluviale e nel lessico antico. Mi servo solo del classico “Rasoio di Ockam”: “non complicare le cose quando le puoi semplificare”. Lo so che non fa parte del metodo storico ortodosso, ma… Comunque io dei bei cavalli selvatici che pascolano queste meravigliose colline, oggi ce li vedrei benissimo. Anche dei lama, che ormai se ne vedono ovunque che sembra il Perù. Torniamo ai due corsi d’acqua: Cherio e Drione. Altre civiltà importanti sono nate tra due corsi d’acqua… Hanno avuto più successo, per tante ragioni storiche e geografiche. Bisogna accontentarsi. Un accostamento indubbiamente ardito, – ma scherzoso, ma rispettoso, ma affettuoso, ma tutto… – sarebbe: “Se fra il Tigri e l’Eufrate nacque la civiltà dei Sumeri, perché fra il Cherio e il Drione troviamo tracce solo dei Suardi? Sia detto senza offesa per i nobili signori di Bergamo, naturalmente! Anzi, devo ringraziare proprio un Suardi (Mario) se ho trovato notizie molto utili su Casazza e dintorni e spunti per queste poche annotazioni senza pretese, sulla mia piacevole visita. Una piccola Pompei sepolta dalla ghiaia Dice Mario Suardi: “La Val Cavallina (…) realizza un collegamento fisico tra la sezione alta della Pianura Bergamasca e le valli interne più montane, quali la Valle Camonica e, attraverso la laterale Val Borlezza, la Valle Seriana”. Insomma, un po’ come una periferica o “bretella” della città di Bergamo, che facilita l’accesso alle sue montagne, come dicevo poco fa. Da qui il suo nome “Cavallina”? Perché sta “a cavallo”. No? Sarebbe più un ponte, in realtà, ma non voglio cambiare la toponomastica della mia Provincia. Sia la Mesopotamia che la val Cavallina sono terre fluviali, terre mobili, matte, imprevedibili come tutte le terre di fondo valle o di foce. Come le terre del Nilo, del Rio de la Plata, del Po. Chi si ricorda dell’immane tragedia del Polesine? Di una terra senza riferimenti, confini, argini che tengano, di fronte alla forza dell’acqua impazzita? E la scena l’abbiamo rivissuta in tempi recenti. Sempre il Po, sempre …a sorpresa? Nell’ultimo scorcio del secolo scorso a Casazza, in quello che ora è il centro moderno di Casazza (bello!) furono trovati, più che casualmente, i resti di un insediamento romano. Una piccola Pompei, sepolta dalla ghiaia anziché dalla cenere e dai lapilli. L’effetto della ghiaia e della sabbia, fu lo stesso della cenere: quello di sigillare e preservare le opere dei romani. Almeno in pianta, se non in altezza, perché i muri non potevano reggere alla violenza e al peso delle inondazioni. Così le case furono abbandonate e il paese sepolte da qualche metro di materiale fluviale. Il destino delle terre mobili è che non lasciano molte tracce documentali. Una delle fonti più ricche di storia sono gli archivi notarili. Ma che atti notarili possiamo mai immaginare su una striscia di terra che cambiava conformazione ogni due per tre? Ve li immaginate dei termini di qualunque materiale, posti a delimitare un orto, un prato, una proprietà? Cosi all’ennesima inondazione che travolse tutto, gettarono la spugna. E il Conte Vescovo, stanco di chiedere decime a una popolazione che non raccoglieva neanche le patate per sé, infeudò la famiglia Suardi, convinto che loro avessero mezzi più persuasivi per farsi pagare le decime. Dubito che la famiglia Suardi si sia poi arricchita con le decime di questi poveri diavoli. Come i Capitani in Val di Scalve. Mentre vado verso l’antica frazione Mologno (che forse una volta era l’abitato principale), osservo le bellissime colline verdi fiorite di… ville e villette di indubbio buon gusto, ma evidentemente anche per tasche adeguate. Arrivato al limite dell’abitato chiedo a una signora dove sia la parte antica del borgo, la torre, il castello… Mi rendo conto dell’assurdità della mia domanda, visto che sono circondato da bellissime ville nuove… Ma ormai l’ho fatta. Mi risponde con cortesia: ”Qui no, come può vedere. La mia è una delle case più recenti. Deve tornare indietro. Prenda via Torre e passa per forza a fianco della torre”. – “Grazie complimenti, bellissima casa”. Si respira storia ma non è facile vederla A Casazza si respira Storia, ma non è facile vederla. E non solo quella sepolta. La storia qui è discreta, molto discreta, quasi invisibile. Ciò che è rimasto in piedi dei borghi medioevali, è quello che non ce l’ha fatta a cadere. Ma devi andarlo a cercare: è come se le nuove costruzioni stessero alla larga – per pudore? rispetto? disdegno? – dalle massicce costruzioni secolari. Questo mi fa pensare a come appariranno fra un paio di generazioni queste colline. Quella torre inabitabile, non perché cadente, ma perché inadatta agli standard di vita moderna, sarà ancora li in piedi, tale e quale ad oggi. Sempre se non verrà demolita per mano umana o sisma! E le ville? La curiosità mi ha portato ad indagare qual’è “l’aspettativa di vita” di un manufatto in calcestruzzo moderno e ben fatto. Non so se vi sorprende, ma per una abitazione civile normale, non più di 50 anni. Per una struttura industriale, intorno ai 30 anni. Sempre che i materiali siano di buona qualità e l’ingegnere in gamba! A seicento anni, tanti ne hanno quella torre e quei pezzi di castello, questi muri ci arriveranno in polvere, senza speranza che qualche futuro archeologo trovi tracce del passato che è il nostro presente. Forse qualche scolapasta in plastica indistruttibile che metteranno al museo come: “originale copricapo maschile di inizio del III millennio”. Di materiale misterioso e immarcescibile! Una delle molte contraddizioni umane è cercare le minime tracce del passato più remoto, collezionare con brividi di piacere quasi erotico i frammenti di cocci di cui a stento si indovina l’originaria funzione… Mentre si distrugge tutto del più recente passato. Si lasciano crollare opere di cui fra qualche secolo, se ancora saremo ospiti di questa terra, cercheranno col microscopio i resti. Parlo soprattutto dell’edilizia medioevale, la più tipica delle nostre valli. I soldi, i soldi, lo so. Tuttavia fa riflettere: viviamo nel mondo del hic et nunc, più che mai. Del doman non c’è certezza. Però a Casazza i posteri potrebbero incontrare qualcosa di davvero sorprendente, sotto qualche metro di macerie di cemento. Gli scavi di Cavellam – i resti dell’antico borgo romano – risalgono agli ultimi due decenni del secolo scorso. Frutto di intuizioni o di approfonditi studi storico-archeologici, penserete? No, colpo di culo. Pardon. Però fu gestito bene e fu fatto un buon lavoro, raggiungendo un ragionevole compromesso fra recupero del passato e necessità di fare un Supermarket già in corso d’opera! Non dappertutto fu così: in altri luoghi e tempi si chiusero semplicemente gli occhi per non vedere. Sapevo degli ritrovamenti romani di Cavellam. Ma non avevo idea di dove e come li avrei trovati. Niente paura. Nel centro del paese, vicino alla bella chiesa parrocchiale di san Lorenzo, di fronte al Municipio modernissimo e funzionale, adocchio un cartello indicatore: “Museo Archeologico”. Destra. Sulla sinistra supero un supermercato. In fondo mi indica ancora a sinistra e percorro anche il lato corto del supermercato. Poi il cartello mi indica di nuovo a sinistra: ‘parcheggio supermercato’. Il fatto è che un quadrilatero ha solo 4 lati e li ho percorsi già tutti. E allora? Mi sono perso? No. Bisognerebbe credere a quello che sembra assurdo, ma che in questo caso non è! “La vede quella scaletta che scende addossata al muro del Super?” – “Si” – Ecco scenda li sotto” – “Ma non è la scala del parcheggio interrato?” – “Anche!” Cavellas, tra incendi e alluvioni Ecco, così fu trovato il villaggio romano sepolto da 4 metri di materiale fluviale. “Scendendo le scale raggiungibili dal parcheggio del supermercato, si possono visitare i resti di un importante abitato sorto nel I secolo d.C. sul fondo della valle Cavallina, lungo la strada che collegava Bergomum con la valle Camonica e i valichi alpini: non distante da Cavellas furono ritrovati anche i resti di una statio, ovvero un’area di sosta e di cambio dei cavalli che venivano impiegati negli spostamenti lungo l’antico asse viario. Il villaggio di Cavellas ebbe una lunga continuità di vita, durante la quale le case furono ampliate, innalzate di piano e modificate per accogliere la popolazione che vi risiedeva: era presente anche uno spazio aperto, ove si trovava un pozzo e si svolgevano le attività comunitarie. Dal VI secolo d.C. questo abitato fu abbandonato a causa di incendi e alluvioni, oltre alle continue esondazioni del torrente Drione – che scorreva poco sopra l’abitato – che resero impossibile la vita a Cavellas. In epoca medievale, infatti, il villaggio si spostò più a monte, probabilmente nei pressi della chiesa di San Lorenzo, nota nelle fonti già dell’VIII secolo. Nel corso dei secoli il villaggio di Cavellas fu sepolto da oltre 4 m di detriti, che tuttavia hanno protetto i resti romani e li hanno conservati in ottimo stato fino ai giorni nostri. L’area archeologica si estende per oltre 1000 mq e, ad oggi, è stata solo parzialmente scavata: è possibile passeggiare all’interno dell’antico vicus, formato da case a pianta rettangolare e quadrangolare, affiancate definendo un insediamento unitario: le abitazioni hanno murature in pietra e pavimenti in terra battuta, malta o lastre lapidee che definiscono gli ambienti, a cui si accede tramite soglie in pietra. Dentro le case sono stati ritrovati dei focolari (addossati alle pareti o centrati negli ambienti) utilizzati per i bisogni quotidiani della piccola comunità, che viveva sfruttando le risorse del territorio. Durante gli scavi archeologici sono stati recuperati numerosi manufatti, come tegami e pentole in ceramica, pesi da telaio e macine in pietra: questi reperti testimoniano le attività artigianali che si svolgevano nel villaggio (agricoltura, allevamento, pesca e tessitura) e sono oggi visibili nell’area archeologica, esposti in un piccolo Antiquarium con vetrine tematiche”. Vien da pensare che forse non abbiamo ancora scavato abbastanza, dobbiamo scendere più in profondità per trovare qualche altra civiltà. Manteniamo la speranza. Perché qui sono passati i romani, ma non solo loro, e non solo sotto il Supermarket. Ma a che scopo? Possiamo mica trasformare il mondo in un museo. Quelle mobili sono anche terre senza storia, se non quella idrogeologica che comanda il gioco del tempo. Quando le cose stanno così, è difficile costruire una Storia umana, L’altra è finzione, perché la natura mica contempla una storia e un senso storico. È solo nostra fantasia. Tutto sommato, ammetto che Casazza è molto bella così, nella sua modernità e nel paesaggio che si sdoppia nel suo specchio di Cherio e Drione. La storia sta meglio protetta dalla terra. Prima di lasciare Casazza e la valle, non puoi non sostare lungo la strada a guardare il lago illuminato dal tramonto. Speriamo che Iside tenga duro e tenga ancora prigionieri Cherio e Drione, senza maltrattamenti, s’intende. Ma il fascino di questa valle è in buona parte merito dell’incanto del lago, dei laghi. Non sono altro che due misere pozzanghere per l’universo. Residuo del passaggio e della sosta dei ghiacciai dell’ultima glaciazione. Ma due pozzanghere magiche che catturano la poesia. Scruto fra le canne per vedere se scorgo Cherio e Drione; non per disturbarli o fare il guardone. Solo per accertarmi che ci siano ancora. In un luogo poco lontano dalla riva, vedo le cime della canne scosse… dalla brezza serale, forse. E sorrido.