di Luca Mariani
“C’è tanta gente ma pensavo di più”. Un ragazzo in camicia azzurra e Ray-Ban nuovissimi comunica via cellulare le sue prime impressioni. Passeggia al suo fianco un uomo basso e con un marcato accento meridionale anch’egli al telefono che esclama: “Guagliò! Sta pieno di gente!” Nel frattempo, dopo aver camminato su corso Vittorio Emanuele II, un uomo e una donna eleganti e impettititi si avvicinano alle transenne che impediscono l’accesso della folla alla parte della piazza più vicina al Duomo di Milano dicendosi: “pensavo di non riuscire ad arrivare fino a qui”.
Nell’attesa dei funerali di Stato per Silvio Berlusconi non si respira tristezza, ma molta curiosità. La gente accorsa in piazza Duomo è pronta con il cellulare in mano per provare ad immortalare questo momento storico per l’Italia e poter testimoniare sui social e ai posteri che “io c’ero!”
Diciannove minuti dopo, puntuale, alle ore 15 di mercoledì 14 giugno 2023, il carro funebre nero lucente che trasporta il corpo senza vita dell’ex presidente del Consiglio si ferma davanti al museo del Novecento. Un applauso intenso e ripetuto si propaga nella folla, inframezzato dal coro “un presidente, c’è solo un presidente” lanciato dai numerosi tifosi milanisti della Curva Sud, che hanno occupato il centro della piazza.
Mentre la bara in legno brillante di Berlusconi entra nella cattedrale metropolitana milanese scortata dai vari corpi militari italiani, tra i quali c’è anche la sua poco amata Guardia di Finanza, qualcuno prova a intonare il coro ritmato “Silvio, Silvio”. Quelli che non hanno le mani impegnate dal cellulare applaudono. Qua e là si sentono frasi urlate come “grazie Silvio” e “ciaooo Silviooo!”
Appena il feretro del Cavaliere varca il portone del Duomo la folla dei curiosi se ne va. Una donna sulla cinquantina, con i capelli tinti color fieno grida commossa: “tutta l’Italia è qua”. Vicino a lei, aggrappata al lampione, una ragazza con i capelli scuri ordinati in una treccia spessa e lunga piange e con un fazzoletto di carta cerca inutilmente di tamponare il fiume ininterrotto di lacrime che le sgorga dagli occhi rossi e gonfi.
Mentre i maxischermi diffondono in piazza le parole sante della prima lettura tratta dal profeta Daniele, un uomo basso, con più di cinquant’anni, occhiali tondi, pochi capelli rasati e con un sorriso buono ma un po’ impaurito attira su di sé l’attenzione. In mano ha un cartello bianco con una scritta rossa in stampato maiuscolo che recita: “vergogna di Stato”. Indosso porta una maglietta in tinta con l’insegna che rilancia: “io non sono in lutto”. Dalla gente appollaiata come i piccioni sul podio in pietra che sorregge la statua equestre del primo re d’Italia partono parole di insulti: “pagliaccio”, “provocatore”, “cretino”, “bastardo”. Puntuale l’intervento degli ultras della Curva Sud che con i loro modi maschi e ignari della diplomazia aggrediscono il minuto cittadino, salvato in zona Cesarini dall’intervento di un cordone di poliziotti che lo accompagna lontano dall’aggressione dei berlusconiani a cui resta solo il tempo per commentare: “i soliti comunisti di merda”.
Dopo questa breve bagarre la situazione torna tranquilla. Il cielo è sereno, velato solo di qualche spruzzata di nuvole. Il sole scalda, ma non scotta. Il silenzio della piazza viene rotto solo dagli applausi durante l’omelia del cardinale Delpini e quando sui maxischermi appare l’immagine di Adriano Galliani.
Alle 15.57 la piazza si ripopola. L’arcivescovo di Milano benedice i presenti e la bara di Berlusconi, seguita dai suoi famigliari, dai rappresentanti delle istituzioni e dai suoi amici di sempre esce dal Duomo per l’ultimo saluto.
La piazza si colora dei bandieroni del Milan, circondati dalle bandiere di Forza Italia, da alcuni tricolori e da un vessillo raffigurante il Leone alato, simbolo della Serenissima Repubblica Veneta. Sul terrazzo dirimpetto alla cattedrale milanese viene esposto uno striscione con la frase “Ciao, Silvio” nera su sfondo bianco. Oltre agli applausi, all’elicottero che sorvola il centro di Milano e ai soliti cori inneggianti il presidente e il suo nome di battesimo, il grido “grazie Silvio” rimbalza di bocca in bocca, come fosse una preghiera laica.
Quando il carro funebre si riavvia in direzione Arcore è accompagnato dal battito delle mani di un bambino con il cappellino blu griffato adidas. Sarà suo nonno che oggi lo porta in groppa a raccontargli di Silvio Berlusconi, dell’uomo che ha cambiato la storia politica, sportiva ed economica d’Italia. Toccherà ai libri di storia spiegargli cosa è stata la Seconda repubblica che oggi iconicamente se ne va insieme a quella bara in legno luccicante, con la desolazione dei comici e il rimpianto di chi ci aveva creduto nel milione di posti di lavoro in più.
L’ultimo saluto al magnate milanese è stato più mediatico che sentito. Piazza Duomo si svuota dei suoi vessilli e della sua fauna umana molto composita: c’erano i tacchi, le Converse e i sandali. Le giacche e cravatte, le polo e le magliette del Milan. Le canottiere corte con vista ombelico, le gonne chic, i pantaloncini attillati in jeans e le tonache delle suore. I capelli ingellati, quelli rasati e quelli arruffati. C’erano pensionati, bambini, ma anche adolescenti e persone in piena età produttiva. Forse davvero c’era tutta Italia.
La gente torna al suo lavoro e alle sue compere. Nell’aria ferma del capoluogo lombardo campeggia solo un cartellone bilingue italiano-inglese che profuma di monito per i posteri, riassunto di una vita e testamento politico ricordando che Silvio Berlusconi era “il più italiano degli italiani”.