ALZANO – La maestra 96enne Margherita Noris si racconta: “I miei primi anni di scuola nelle Valli: miseria, fame, freddo e tanta neve”

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Le educatrici della RSA “Martino Zanchi” sono state gentilissime  e all’ora stabilita , puntuale, ecco la videochiamata che  mi permette di dialogare con Margherita – Rita – Noris, 96 anni, recentemente insignita dell’onorificenza del “San Martino d’Oro” da parte dell’Amministrazione che con questo riconoscimento onora i suoi cittadini particolarmente benemeriti.

Seduta sulla sua carrozzina , l’immancabile a mantellina sulle spalle come vuole la tradizione delle nostre Anziane, Rita sorride e risponde volentieri alle nostre domande. Lucidissima, si esprime in un italiano impeccabile , attenta a trovare le parole ‘giuste’, scusandosi in anticipo per  le eventuali imprecisioni a proposito delle date, perché – dice- ‘ vorrà perdonarmi ma la memoria non è più quella di una volta’.

“Le date non le ricordo tutte esattamente – si scusa – però sono sicura  di avere iniziato a far scuola nei primi anni ’40 e che ho alle spalle 44 anni ininterrotti di insegnamento. Le prime esperienze da maestra le ho avute in Val di Scalve: anni durissimi,  di fame e di miseria, con tanto freddo e tanta neve, e così pure in numerosi paesini della Val Brembana. Poi pian piano, sempre vincendo i relativi concorsi, mi sono ‘avvicinata’ al mio paese: dapprima insegnando nelle frazioni di Alzano, poi ad Alzano capoluogo e finalmente, in seguito alla costruzione delle scuole nuove, ad Alzano sopra, vicino alla mia casa natale, sulla collina, dove ho concluso la mia carriera”.

Rita non si è mai sposata:

“Le spiego: io sono una persona consacrata, ho pronunciato i relativi voti già da giovane. Avrei voluto entrare in convento, ma avevo i miei genitori ed altri famigliari da accudire e da aiutare, e si sa che prima di pensare a se stessi bisogna pensare al proprio prossimo…E poi con mio padre e mia madre avevo un grande debito di riconoscenza da saldare: mio papà era contadino e mia mamma casalinga con gli anziani suoceri in casa, avevano fatto molti sacrifici per farmi studiare come aveva raccomandato loro la mia di maestra, Ancilla Ghilardi…E poi avevo tre fratelli maschi: Pietro, missionario in Messico, Luigi, maestro anche lui, al quale hanno intitolato la scuola di Alzano sopra, e Battista, morto da militare.  Allora ho  optato per la consacrazione secolare, pensando che anche il mio lavoro di insegnante poteva diventare una missione, e perciò ho cercato di svolgerlo come tale, facendo del mio meglio anche quando dovevo occuparmi di classi pesantissime, spesso con più di quaranta bambini…E prima di diventare di ruolo, siccome d’estate non prendevo lo stipendio, andavo a fare l’assistente nelle colonie estive, così da non pesare sulla mia famiglia”.

Classi così numerose sono impensabili per la scuola di oggi….

“Sì, anche per questo bisognava essere severi, per contrastare il disordine e la confusione…Infatti sono stata una maestra un po’ severa, lo riconosco, ma so anche che ai miei scolari ho voluto tanto bene, un bene che essi  hanno sempre ricambiato. Pensi che quando sono entrata qui nel ricovero i miei ex-scolari sono venuti a frotte ad accompagnarmi, e che anche dopo – mi riferisco ai tempi pre-Covid, ovviamente – non hanno mai mancato di venirmi a trovare. Se  mi pesa la solitudine forzata a causa della pandemia? Un po’ sì, ma io  rimedio alla solitudine immergendomi nei miei ricordi e scrivendoli tutti su di un quaderno che tengo sempre con me. Li scrivo volentieri, i miei ricordi di scuola, e li dedico alle mie ‘sorelle’ Angeline ed a Renato, che mi è sempre stato vicino, li lascerò a loro, quando morirò”.

Rita parla della morte con un’invidiabile serenità…

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