BERGAMO – Assalto alla Provincia: Pd, Lega e “terzo polo”. “Ognuno diverso e ognuno in fondo perso dentro i fatti suoi”

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Assalto alla Provincia. Che è retrocessa ad ente di secondo livello. Traduzione: a votare per la composizione del Consiglio provinciale non sono più i cittadini, ma gli amministratori (sindaci e consiglieri comunali) dei 243 Comuni bergamaschi che eleggono il Presidente e i 16 consiglieri provinciali. Ogni sindaco o consigliere ha un pacchetto di voti tarato sulla popolazione del proprio Comune. Un sistema contorto che taglia fuori i semplici cittadini, già per conto loro scarsamente interessati al voto per il proprio Comune, come si è visto anche in questa tornata elettorale, figurarsi se sono interessati a chi viene eletto in Provincia.

Ma in capo alla Provincia ci sono deleghe, compiti importanti, la viabilità (al netto del passaggio all’Anas di grandi arterie nei mesi scorsi) e le scuole superiori, per citarne due immediatamente alla portata degli interessi dei cittadini.

Cancellate dalla memoria (supposto l’abbiate ancora) il glorioso ente che fu (addirittura originato al tempo del Regno di Sardegna): nel 2014, con la riforma chiamata Delrio, dal ministro che la firmò, le Province sono state  declassate a ente di secondo livello “con elezione dei propri organi a suffragio ristretto”. E anche il Consiglio provinciale, che fino al 2014 era per Bergamo di 36 consiglieri, è stato ridotto a 16. Nessuno prende un euro. E allora bisogna cercare il perché di tanto interesse tra gli amministratori per queste elezioni, fissate per il 18 dicembre con le “liste” da presentare 40 giorni prima, quindi entro la prima decade di novembre.

La Provincia era un ente che politicamente contava, un trampolino di lancio per andare oltre, fino al 1970 solo per il Parlamento, poi, con l’istituzione delle Regioni, per il consiglio regionale.

Adesso si è ridotto a una prova generale di rapporti di forza tra Partiti e dintorni. I Partiti che possono vantare pacchetti di voto. I “dintorni” sono ad esempio il gruppo che si è definito “Provincia sostenibile: Comuni protagonisti” che cerca di smarcarsi dagli schieramenti “politici” con adesioni trasversali: ci sono sindaci di centrodestra (Cinzia Locatelli di Cerete, Pietro Orrù di Vilminore, Osvaldo Palazzini di Boltiere) e di centrosinistra (Natalina Valoti di Pradalunga, Paolo Pelliccioli di Mozzo, Simone Biffi di Solza). Questa trasversalità dovrebbe portare molti sindaci “civici” ad aderire al gruppo che presenterà quindi una propria lista con un candidato alla Presidenza della Provincia. Poi c’è il gruppone di sindaci e consiglieri aderenti o vicini al Pd che intende candidare l’attuale Presidente (dopo che Gianfranco Gafforelli è stato destituito d’imperio dal Ministero degli Interni in quanto non più sindaco) che è Giovanni Pasquale Gandolfi, già vicepresidente. E il gruppone di sindaci della Lega che deve ancora indicare un nome per il candidato alla Presidenza. Per essere Presidente uno deve anche essere Sindaco e non assessore o semplice consigliere comunale.

Tutto il contrario di quanto era previsto per la vecchia Provincia, quando i sindaci non potevano neppure la carica di assessore, tanto meno di Presidente dell’ente.

Ognuno dei tre gruppi attuali (non mettiamo limiti alla Provvidenza politica per un quarto gruppo: il 31 ottobre del 2018 si presentarono 4 liste e anche quest’anno Fratelli d’Italia potrebbe presentarsi alla conta sia pure magari apparentato per il nome del Presidente) indicherà un candidato a Presidente. Ah, il Consiglio provinciale dura in carica solo 2 anni perché in effetti i consigli comunali cambiano ogni anno. Ma il Presidente dura un carica 4 anni, a meno che decada da sindaco. Una legge cervellotica…

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