“Io del Burundi non sapevo proprio nulla, per me era solo il nome di uno dei tanti Paesi africani. Ho cominciato a conoscere questo Paese nel 2019, quando mia figlia Antonia, medico e ricercatrice del Policlinico ‘Gemelli’ che si occupa anche di vari progetti dell’ONU in giro per il mondo e presiede un’associazione internazionale per la lotta ai tumori femminili, mi chiamò nella Capitale per farmi conoscere le tante belle iniziative di beneficienza e di solidarietà di cui si occupa. Fu lì che feci conoscenza con alcuni dei 50 studenti impegnati a vario titolo nei progetti dell’ONU: tra loro c’era anche uno studente di agraria proveniente dal Burundi, appunto, che mentre stavamo a tavola mi si avvicinò chiedendomi se non potevo mandare qualche esperto a dare una mano al suo Paese, dove, mi spiegò, la terra produce pochissimo e su dieci bambini che nascono almeno cinque muoiono di denutrizione in tenera età. Rimasi scioccato, naturalmente. E come e dove avrei potuto trovare qualche ‘esperto’, dal momento che non ne conoscevo nessuno? Allora decisi: -Vengo io! – risposi, pensando che forse qualcosa avrei potuto fare una volta che mi fossi reso conto di quello che serviva”.
Angelo Testa, 89 anni, quasi 90, quando parla in famiglia della sua intenzione di partire per l’Africa si trova tutti contro. Anche il suo medico tenta di dissuaderlo: – Ma è una follia! Non sai che in Burundi ci sono tutti i tipi di infezione possibili? E’ un rischio da non correre assolutamente, alla tua età poi…Ma lui non ascolta nessuno:
“Con l’aiuto di Internet mi informai su tutte le vaccinazioni possibili, e le feci. E così partii, eravamo in 4, due ragazzi burundesi, un loro amico italiano ed io; 12 ore di aereo e 4 di jeep, per raggiungere il paese – chiamiamolo così anche se in realtà si trattava di piccole baracche sparse – di circa 9.000 abitanti su una collina del nord del Paese. L’impatto fu davvero spaventoso: tutte le abitazioni erano piene di fumo! (Scoprii in seguito che, secondo l’O.M.S., ogni anno 2milioni di donne in Africa muoiono proprio a causa di questo fumo respirato in continuazione perché nelle case non c’è alcun buco per farlo uscire, e che muoiono a 40/45 anni lasciandosi dietro una squadra di orfani) . Anche tutt’intorno era una desolazione: tutto disboscato, tutto secco, nemmeno un filo d’erba…Persino il dott. Stenio Rosato, che una volta scese in Burundi con me un carico di medicine per l’ospedale della zona, ne uscì piangendo, perché anche le condizioni dell’ospedale facevano piangere”.
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