Via Nazionale. Per il nostro viaggio in uno dei quartieri di Casazza scegliamo un sabato mattina d’agosto, l’aria è ancora fresca, ci sono 21°, il sole illumina soltanto una parte di Palazzo Bettoni, su cui però ci soffermeremo qualche paragrafo più giù. Quando lasciamo alle nostre spalle il bivio che scende a Monasterolo e il cartello stradale ci dà il benvenuto a Casazza (indicandoci che è un villaggio d’epoca romana), la Statale 42, celeberrima in questo punto come nodo intenso di traffico nelle ore di punta e nei caldi fine settimana della bella stagione, è insolitamente… libera e piuttosto silenziosa. Sarà l’orario, pochi minuti dopo aver lasciato la nostra auto nel parcheggio del Migross infatti sentiamo il rintocco delle campane della Parrocchia. Sono le 9 in punto. Sarà che in questi giorni d’agosto la strada non è ancora stata presa d’assalto per i rientri. Il semaforo è verde… speranza, che non è poi così scontato viste le polemiche che ormai aleggiano da anni. “Se fai la giornalista di sicuro sai cosa succede qui, minuti passati ad aspettare che il rosso cambi colore e ti dirò che ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. Certo per chi passa tutti i giorni e magari dopo una giornata di lavoro non dev’essere il massimo”, ci racconta un passante, e sì, quanto inchiostro sulle pagine di Araberara ha raccontato questa vicenda. Pochi passi più in là, sul lato destro della strada per chi come noi arriva dal lago, incrociamo un signore (che avevamo già incrociato all’inizio della via) che sta passeggiando e si ferma per raccontarci come si vive qui. “Sei proprio nel centro di Casazza, vedi tutti questi palazzi? Ecco, quando sono nato io non c’era proprio niente, forse soltanto uno e quindi sono cambiate molte cose. Quando avevo otto, al massimo dieci anni, hanno iniziato a costruire tutto quello che vedi adesso. Però devi tornare indietro di almeno 65 anni, quindi a metà anni Cinquanta. Io qui ci sto bene, non mi posso certo lamentare, c’è tutto quello che serve”. Ci saluta, un sorriso dietro la mascherina, e prosegue il suo cammino verso casa. Facciamo lo stesso, proseguiamo lungo via Nazionale, siamo ancora nei pressi del semaforo, che stavolta è rosso fuoco, incrociamo lo sguardo di una signora che tiene tra le mani una borsina della spesa, ci regala qualche minuto del suo tempo: “Ho letto il racconto di Mologno e di Colognola e la differenza con il centro è che se quelli si sono svuotati, non ci sono più attività commerciali e quindi chi abita lì è costretto a prendere l’auto e scendere in paese… qui si trova ancora tutto. Sì, ci sono un po’ di serrande abbassate e alcuni edifici un po’ fatiscenti (per esempio quello su qui ancora si legge ‘Papiro, profumeria, astroscopia, cartoleria. Articoli regalo’ e che mostra tutti i segni dello scorrere del tempo, ndr), ma basta guardarsi attorno! Chi abita qui può anche non prendere l’auto, ma girare a piedi o in bicicletta”. Un signore esce da un negozio: “Sì, è vero, qui non manca niente, in duecento metri c’è tutto, però c’è qualcosa che non mi piace. Considera che da questa strada passano tutti ed è la parte di Casazza conosciuta da chi di Casazza non è. Come mi dice spesso mio figlio questa zona rappresenta il biglietto da visita del paese, ma… è un po’ sciupato”. Alza il braccio per indicarci alcuni palazzi nella zona tra il semaforo e il distributore e aggiunge: “Guarda le facciate, grigie e scrostate… alcuni di questi un tempo erano bei palazzi, ma sono completamente abbandonati”…
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