Se dalla lunga ed estenuante lotta contro il Coronavirus Patrizio Moretti è uscito molto provato ma vittorioso, dopo una ‘via crucis’ durata 5 mesi, la stessa sorte non è toccata invece purtroppo al suo giovane concittadino, Cristian Persico, 34 anni, spentosi al Papa Giovanni XXIII di Bergamo nel pomeriggio del 19 agosto scorso. La tragica notizia ha suscitato un silenzio corale, spegnendo bruscamente ogni eco della festa per il ritorno a casa di Moretti, avvenuto qualche giorno prima, ed ha lasciato l’intera comunità nello sbigottimento e nel dolore perché il Persico, conosciuto e benvoluto da tutti, alla vita della comunità partecipava assiduamente, rivestendo un ruolo di spicco in diversi gruppi che la animano: quello dei ‘baghetér’, in cui era entrato seguendo le orme dello zio, Luciano Carminati, presidente del sodalizio; in quello degli appassionati di fotografia dell’associazione “Photoclub Sömeànza”; quello del CAI, che lo vedeva spesso camminare, insieme al padre Renato, sulle montagne di casa e non solo; e quello dell’Oratorio, dove non tralasciava mai di dare una mano prestando la sua opera di volontario in ogni occasione.
Occupato in un’azienda elettrica di Cazzano, Cristian si era ammalato nel marzo scorso: Covid-19, come tanti altri suoi compaesani ed amici, tra cui anche il quasi coetaneo cugino di secondo grado Emiliano Perani, di 36 anni, scomparso il 19 aprile scorso.
A Casnigo si respira un’atmosfera di sbigottimento, le persone in giro sono come ammutolite e tirano via in fretta, non hanno voglia di commentare. Anche lo zio Luciano è laconico:
“Era un ragazzo solare che amava tanto la vita –– dice – ricoverato e sottoposto a tutte le cure del caso, era riuscito a superare la patologia specifica del Coronavirus, ma purtroppo con il passare del tempo sono intervenute numerose complicanze a carico di diversi altri organi vitali, complicanze che alla fine hanno avuto la meglio su di lui. Non mi sento di dire altro – conclude con la voce rotta dalla commozione – il dolore per la perdita di un ragazzo così giovane è troppo grande per tutti noi”….
“L’ospedale era un campo di battaglia, portavano via i morti a badilate…”.
“Se sono qui a raccontarlo, il merito è certamente dei medici che mi hanno curato, ma siccome sono gli stessi che hanno curato anche i tanti che ho visto morire, ci dev’essere qualcos’altro: sicuramente un po’ di fortuna, ma soprattutto, come diciamo qui a Casnigo, ‘ergü sö gliò che l’a ardàt gió’, qualcuno che dall’alto ha guardato giù”.
Patrizio Moretti, 65 anni, colpito dal Covid-19 il 2 marzo scorso, è tornato a casa il 12 agosto dopo ben cinque mesi di incubo.
“Mi hanno accolto come se fossi un reduce di guerra, mi hanno fatto una bella festa e ringrazio tutti, ma per guarire del tutto so che di strada ne devo fare ancora molta, sono ancora obbligato a muovermi in carrozzella e le terapie continuano tutti i giorni…”.
Il 2 marzo scorso Patrizio era andato a raccogliere cicoria, come fa sempre all’ avvicinarsi della primavera, e quand’era tornato a casa sua moglie, Margherita, 62 anni, notandogli il viso arrossato, aveva buttato lì:–Ma non avrai mica la febbre, per caso? . Patrizio non ci aveva badato più di tanto ed era uscito di nuovo per portare un po’ di cicoria anche ad un suo zio. Il giorno dopo però ha la febbre a 39 e la figlia Federica , 27 anni, si incolla per ore al telefono per sentirsi ripetere invariabilmente che finché il papà respira non lo si può ricoverare e deve solo prendere degli antibiotici. Il 9 marzo però, esasperata dalla situazione che peggiora, lo carica in auto e lo porta ad Esine, dove la radiografia diagnostica una polmonite doppia interstiziale. Tuttavia Patrizio viene rimandato a casa. E’ un lunedì, la febbre non passa e la notte del martedì successivo Federica e Paola, l’altra figlia trentatreenne, raccolgono in bagno la mamma che ha avuto un collasso, è svenuta e presenta anch’essa i sintomi inequivocabili del Coronavirus. La Volontaria allertata invita allora le ragazze a procurarsi dell’ossigeno.
“Già, l’ossigeno – commenta Federica – come cercare un ago in un pagliaio, non lo si trovava da nessuna parte, una ricerca infinita finché lo abbiamo trovato ad Albino. ..Ma non appena si staccava l’ossigeno il papà riprendeva a non respirare e tutto tornava come prima… Disperate e anche spazientite di fronte all’atteggiamento delle istituzioni sanitarie abbiamo chiesto aiuto ad un’infermiera che conoscevamo, con lei abbiamo chiamato il 118, che è arrivato con un’autoambulanza dopo un’ora e mezza e ha riportato papà all’ospedale di Esine”.
Le figlie restano a casa, anch’esse colpite dal Covid-19, ed accudiscono la mamma alternandosi faticosamente al suo capezzale perché febbricitanti e senza forze. Nel frattempo si ammala anche una loro zia, una sorella di Margherita che abita nello stesso palazzo, e il contagio risparmia solo uno dei sei fratelli di Patrizio. Il primo ad ammalarsi, Luigi, ricoverato a fine febbraio, era infatti stato dimesso l’11 marzo; Simone resterà in ospedale per 3 settimane; Guido invece, un caso clamoroso di ‘falso negativo’, viene curato in casa mentre Franco, purtroppo, non ce la fa e si spegne il 17 marzo….
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