CASNIGO – Marinella, la paura, la forza, il coraggio, la rinascita e Didier: “Mi avevano detto di avvisare le pompe funebri e invece…”, dal 5 marzo al 3 dicembre in ospedale

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Casnigo ha pagato un duro prezzo in questo 2020. Fra giovani e personaggi di spicco, la pandemia ha portato via un gran pezzo di cuore di questa comunità. Poi però si scopre che il 3 dicembre è una data di riscatto. Dopo 9 mesi, fra terapia intensiva e riabilitazione in ospedale, Marinella Borlini, 55 alè tornata a casa. Non solo ha sconfitto il Covid, ma ha portato con sé forza, coraggio e voglia di rinascita. Ci raccontano questi mesi lei, ancora attaccata all’ossigeno, ed il marito, Gherlini Didier.Ero al lavoro, giovedì 5 marzo, e tossivo più del solito. La notte successiva avevo 37.5 di febbre e siccome io soffro di asma ho pensato di chiamare i soccorsi. Il 118 era in difficoltà, erano i primi giorni della pandemia. Il pomeriggio successivo mi feci ricoverare alla “Clinica Gavazzeni”, c’erano diverse persone in attesa. Avevo la saturazione e la pressione bassa. Mi trasferirono in “medicina d’urgenza”.  Ho visto alcune barelle portare via i morti e poi sono stata intubata”. A metà marzo la chiamata al marito, dicendo che avrebbe dovuto prepararsi al peggio.. di avvisare le pompe funebri. “Mi chiamavano tutti i giorni, ma dopo quella telefonata passò un giorno senza che fossi contattato…temevo il peggio. L’avevano trasferita al Policlinico di Milano.  Dopo una settimana di stabilità la situazione era diventata grave.  Poi il “miracolo”. Dall’America era arrivato il “rendesevir”, un farmaco che stavano testando sui pazienti covid.  Sembra che su mia moglie abbia davvero fatto il miracolo”. Pancia sotto e pancia sopra, Marinella ricorda di aver sognato che nei vari spostamenti si trovava su una barca e che il marito fosse incappucciato ed avesse organizzato tutto. Erano reazioni al fatto che la sua mente le dicesse che fosse stata abbandonata. Naturalmente così non era. Passarono 50 giorni prima che si riuscì a fare la prima videochiamata. Fra tracheotomia, PEG (strumento che serve ad introdurre alimenti direttamente nello stomaco) e dispositivi vari, i muscoli della paziente si erano debilitati, nulla più di poteva muovere per sua volontà. “Mi hanno svegliata piano piano. Non riuscivo a tenere in mano la forchetta. Avevo perso forza e controllo. Non volevo sentire i famigliari, ero arrabbiata pensando che fossi stata abbandonata. Era fine aprile e non sapevo cosa fosse successo là fuori”. Marinella non ha subito danni celebrali e nemmeno psicologici. Nei mesi di giugno e luglio viene trasferita alla clinica “Maugeri”, per la convalescenza. “Ho visto morire altri pazienti, ma io avevo superato il momento più drammatico e pian piano ho iniziato a recuperare forza e coraggio”. A fine luglio viene trasferita all’ospedale di Trescore. “Non sapevo nemmeno ci fosse un ospedale a Trescore. Qui è iniziata la mia rinascita. Fra infermiere, fisioterapisti e medici ho trovato un ambiente davvero familiare. Sono tornata a respirare l’ossigeno di Bergamo!” Fino al 3 dicembre, giorno in cui è tornata a casa, è stato un lento ma continuo progredire. “Avrò per sempre i segni di questo tempo. Confido nella possibilità di migliorare, ma sono consapevole che non potrò più riprendere il mio lavoro, come operaia alla Sitip di Cene, i miei polmoni sono segnati…

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