Luca Mariani
«Il lavoro mi aveva mangiato tutta la vita.» La dottoressa Maria Esposito spiega così la sua decisione di rassegnare le dimissioni da medico di famiglia e andare in pensione con un anno e mezzo di anticipo. «Mi sentivo come nelle sabbie mobili: continuavo a cercare di camminare, ma non andavo da nessuna parte. Quando entravo in quell’ambulatorio anche il sabato e la domenica ne uscivo sempre frustrata. Mi sentivo in difetto con i pazienti sempre più esigenti. Avevo l’impressione di non riuscire a portare niente a termine».
Classe 1956 la dottoressa Esposito è stata medico di base a Clusone per 33 anni. In questi tre decenni il mondo e la società sono cambiati. Tanto è mutato anche nel suo lavoro. Ma per la dottoressa, originaria di Napoli, c’è stato un momento di svolta importante nel rapporto tra lei e i pazienti: «Il covid è stata una mazzata molto forte per tutti noi. Se ripenso a quel periodo mi chiedo come ho fatto a uscirne indenne. Dopo la pandemia ho notato una difficoltà sempre crescente di rapporto con i pazienti. Credo che l’umanità dopo il covid abbia perso il raziocinio. Non sappia più mettere le cose nel giusto ordine. Benché io mi ponessi sempre nella stessa maniera nei confronti dei pazienti questi non si rapportavano più nello stesso modo con la medicina. Avevo richieste, tra le più svariate, ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette. Avevo paura di non essere più in grado di discernere dove fosse le vere necessità. Era come se si fosse creata una confusione nei rispettivi ruoli e nelle aspettative. Ho avuto la sensazione di essere diventata un jukebox: si mette una monetina e si esige una risposta immediata. Cento domande diverse, che prevedono ragionamenti e conoscenze diverse. C’è questo grave problema della fretta che è andato a danno dell’utenza. Per quanto abbia cercato di adeguarmi ai crescenti bisogni la sensazione di incompiutezza è stata prevalente».
Ma non è solo la maggiore esigenza dei pazienti che ha messo in difficoltà la dottoressa. Maria Esposito si è sentita schiacciata anche a causa di un sistema sanitario sempre meno efficiente e più mal organizzato. «Ci hanno buttato addosso una marea di burocrazia che potrebbe essere svolta da personale amministrativo. Tutto ciò fa perdere tempo e concentrazione sul vero ruolo che secondo me il medico dovrebbe avere. Dovremmo anche avere più tempo per aggiornarci. Inoltre, il numero di noi medici di base è inferiore a quello che dovrebbe essere. Al giorno d’oggi è impensabile avere un medico di famiglia ogni 1800 o 2000 persone. Il sistema andrebbe rivisto radicalmente. Anche perché siamo un paese di anziani e la cronicità è diventata un aspetto cruciale della nostra professione.»
«Questi sono tutti aspetti che logorano nell’attività quotidiana». Vestita in modo semplice, abito di cotone azzurro con trame floreali rosa, la dottoressa è delusa e rassegnata. Tutte queste difficoltà gestionali, burocratiche e relazionali hanno appesantito la sua incontestabile voglia di fare. Però a indurla a lasciare in maniera irremovibile è stato un evento tanto doloroso quanto inaspettato: «La decisione brusca di interrompere il lavoro è stata dettata dal fatto che ho perso l’unico fratello che avevo, più giovane di me. È mancato in maniera drammatica: ha avuto un’emorragia in casa.»
Così dal 29 giugno la dottoressa Maria Esposito non è più il medico di base per più di 1700 cittadini dell’altopiano clusonese. Ciò che più la rattrista in questo momento è la mancanza di un suo sostituto: «Si era ventilata la possibilità che un giovane collega potesse prendere il mio posto in attesa della designazione di un sostituto definitivo. Purtroppo poi questa possibilità è sfumata per mancanza di accordi del collega con la Asst. Probabilmente anche questo è un aspetto dei tempi cambiati: oggi i giovani medici sono relativamente pochi e possono “scegliere” come e dove lavorare. Il vero problema rimane sempre la carenza di medici in un momento storico di cambiamento e transizione dal vecchio al nuovo.»
Visto questo passaggio di consegne incompiuto. Visti i tempi biblici con cui la burocrazia e il sistema sanitario pubblico provano a risolvere questa situazione difficile, lasciando quasi due migliaia di cittadini-contribuenti-elettori sguarniti da un servizio primario e fondamentale, il pensiero più affettuoso della dottoressa va ai suoi ex pazienti: «Anche se può sembrare strano, per molti versi mi mancheranno. Forse mancheranno più loro a me che io a loro. Ma ultimamente la situazione era diventata veramente pesante. Sono dispiaciuta di aver lasciato prima del previsto il lavoro, anche se l’utenza avrebbe dovuto immaginare che la mia età avanzava e prima o poi avrei dovuto fermarmi.»
SUL NUMERO IN EDICOLA DAL 4 AGOSTO