CLUSONE – Giannino e il roccolo Zuccone: “Qui da sempre, a trasformare il bosco in vita. Non cerco piante da tagliare per fare una scultura. E’ l’albero quando è morto che mi fa vedere cosa potrei fare lì dentro…”

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di Luca Mariani

Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani, la sua testa e il suo cuore è un artista.” Questa massima di san Francesco d’Assisi è lì, scritta in stampatello minuscolo con il pennarello nero su una targhetta quasi rettangolare in legno chiaro. È lì appesa ad un villaggio in miniatura di legno, sassi e ghiande, che accoglie e saluta tutti i camminatori che hanno lasciato la strada asfaltata verso il rifugio san Lucio di Clusone per tuffarsi nel bosco, seguendo il sentiero diretto al roccolo Zuccone.

«Questo posto purtroppo non è mio.» Esordisce Giannino Trussardi seduto al pesante tavolone in legno nella veranda che unisce il bosco e l’edificio in pietra grigia, stretto e alto due piani: «Siamo in affitto da sessant’anni esatti. Venivo con i miei genitori. Le vacanze estive dopo la scuola le passavo qui con loro, soprattutto con la mamma perché il papà lavorava. Le baite qui attorno erano occupate da altre famiglie quindi era un divertimento. L’infanzia e l’adolescenza le ho passate qui.»

Le mani forti e vissute gesticolano con calma e discrezione. Giannino si immerge nei ricordi. Dopo l’adolescenza l’inizio del lavoro: «Per quarant’anni ho fatto il meccanico a Rivolta d’Adda, preparavo i motori di enduro e motocross.» Il clusonese classe 1953 cresce, si sposa, ha un figlio e i suoi genitori purtroppo vengono a mancare. Per tutti questi motivi il roccolo Zuccone «era un pochino abbondonato. Nel bosco non si riusciva ad entrare tanto erano fitti gli alberi, c’erano quelli sradicati, i rami caduti, i rovi e le malattie come il bostrico.»

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