Questo è un pomeriggio di caldo afoso. Sotto i due grandi noci i tavoli sono tutti occupati, la signora del bar fatica con la biro a scrivere su un foglio le ordinazioni, una birra, un “mattarello” che ovviamente sarebbe un mottarello, vecchia denominazione che mi rimanda alla golosità di un pomeriggio di festa che avevamo in tasca cinquanta lire a testa e… ma no, siamo qui per questo centinaio di anziani ancora pimpanti che sono il contraltare di quella casa di riposo posizionata lassù nella parte alta della città, che sarebbe già un’offesa ricordarlo a tutti questi “vecchi”, che tali non si sentono, che nemmeno lo sono, pimpanti, spiritosi, pronti alla battuta, tutti con le braghe a mezz’asta (al ginocchio, mica quelle alla zuava che usavano ai tempi dei tempi), i calzini corti e i sandali o scarpette da campo di bocce, che sono sparsi sotto i due noci con il tronco imbiancato di calcina fino ad altezza di rami, per scongiurare parassiti che… Qui nessuno si sente parassita, ognuno ha la sua pensione che si è guadagnata in una vita di lavoro ecc. “Ma cosa cali, ma come fa un mazziere a prendere il sette se non è quello bello, ma da dove vieni?”. Altro che battute, al tavolo accanto volano parole anche più pesanti che ristagnano nell’afa di questo pomeriggio clusonese. Ma torniamo al “da dove vieni?” che non è una domanda retorica. “Qui arrivano un po’ da tutte le parti, questi due sono extracomunitari…”. E’ una battuta, ma in effetti sembrano forestieri. “Lui poi non è nemmeno del continente…”..
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