CLUSONE – VIAGGIO NEI BORGHI /3 – “Hanno tolto i servizi dal centro. Ma se moriamo noi muore Clusone”

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Cielo azzurro a tinta unita. I termometri sanciscono che l’estate è ormai esplosa. La terza tappa del viaggio nel centro storico di Clusone riparte da via San Defendente. Tra difficoltà economiche che si fanno sentire ancora con forza e una voglia di ripartire che si vede dai sorrisi mezzi nascosti dalle mascherine.

Via S. Defendente

Adesso sembra che vada un pelino meglio – esordisce Carlo, il titolare del ristorante La Brasca -. Sapevamo che sarebbe stato drammatico. I primi giorni il locale era praticamente vuoto, poi pian piano qualcuno sta ricominciando a girare. Ma se la gente ha poche possibilità economiche, del ristorante può fare a meno. Sicuramente c’è meno gente dell’anno scorso”.

Gli fa eco la moglie: “Abbiamo distanziato i tavoli di almeno un metro, provvediamo all’igienizzazione, anche dei bagni, più volte al giorno. I posti sono ridotti, i tavoli da 8, per esempio, sono passati a 3 se le persone sedute non sono congiunti”. Prospettive per il futuro? Carlo e la moglie allargano le braccia. “Se le limitazioni venissero allentate, se ci fosse bel tempo e i turisti salissero, potremmo fare una stagione buona anche se non ottima. Dicono che la gente verrà in montagna, ecco noi siamo qui!”.

Le difficoltà economiche sono infatti parecchie. “Si tiene duro, andiamo avanti sperando di tamponare i due mesi di chiusura, ammortizzandoli quest’estate. Qualche dipendente è stato ancora in cassa integrazione nelle scorse settimane, riprendiamo a pieno regime da luglio”. Carlo allarga lo sguardo sulla situazione di Clusone di questi anni. “30 anni fa Clusone era un polo importante per tutta la zona, poi negli anni è stato smantellato. Non si sa di chi è la colpa, forse anche dei commercianti che una volta erano benestanti, essendo proprietari di immobili, e si accontentavano”.

A pochi passi di distanza, un altro racconto dai toni dolceamari viene dalla pasticceria Duci. Al lavoro c’è un solo dipendente, anch’egli da poco rientrato dalla cassa integrazione. “Abbiamo ripreso pian piano da fine maggio – racconta Giacomo, dietro mascherina e plexigass –. Solo un collega ha ripreso subito a tempo pieno, anche perché nelle prime settimane eravamo aperti solo mezza giornata”. Adesso tutti quattro i dipendenti sono operativi, ma il giro di clienti è ancora ridotto. “Siamo ripartiti bene ma non è ancora come prima. Qualcuno ha ancora paura, chiede il caffè nel bicchierino da asporto. Il lavoro è variabile a seconda degli orari ma nel complesso abbiamo ripreso abbastanza bene”.

Maggiori difficoltà emergono dal tono della titolare di un altro locale della zona, il bar Milano. Alla domanda su come stanno andando questi mesi, Carla sbarra gli occhi: “Non hai un’altra domanda? È cambiato tutto rispetto a prima, la gente ha paura”. Qualche cliente nel bar c’è, ma le difficoltà sono tante. Entrano quattro signore che ordinano due bottigliette d’acqua. “Si lavora così – commenta Carla con un sorriso amaro -. Ogni giorno si vedono facce nuove, c’è gente che ancora non era uscita nei mesi scorsi ma lo sta facendo solo in questi giorni. Secondo me c’è una situazione di estremismo: da un lato chi vive la paura come un vero e proprio incubo e chi invece al lato opposto se ne frega, non ha capito quali sono le regole da seguire e non è attento. Noi in questa situazione rischiamo di chiudere”. Carla ci tiene a seguire scrupolosamente tutte le norme. “Forse lavora chi ha come clienti i giovani e se ne frega delle regole. Noi abbiamo deciso di stare a norma con tutto, distanziando i tavoli anche all’esterno. Abbiamo sempre misurato la temperatura a tutti, fino alla scorsa settimana quando hanno dato il via libera alle sagre: lì a quel punto mi sono rifiutata”. 

E qui cominciano le lamentele. “Siamo stati tutti legalmente truffati. Pensa a questa pistola – mostra il termoscanner –, quando è stato imposto il controllo della temperatura per i locali, noi l’abbiamo pagata 99 euro in farmacia, qualcuno anche 120. Quattro giorni dopo al supermercato costava 45 euro. Una cosa simile è successa per i guanti. Siamo stati obbligati a dotarci di tutto ma senza nessun aiuto per far fronte alle spese e non è corretto. Non abbiamo ricevuto aiuti nemmeno dai proprietari della struttura, non c’è stata nessuna comprensione, l’affitto l’abbiamo dovuto pagare tutto”.

Qualche segnale positivo solo dal Comune. “Verrà incontro a tutte le attività riducendo la tassa dell’immondizia: è meglio che niente. Di sicuro nessuno ringrazierà lo Stato dopo questi mesi”. Insieme al bar, Carla gestisce anche la annessa tabaccheria. “Lì ho sempre tenuto aperto, solo al mattino, anche se girava praticamente un cliente ogni 25 minuti…

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