CLUSONE – Zaira, clusonese doc che ha scelto di seguire i migranti: “Lavoravo in un bar a Lampedusa ma ho capito che dovevo fare altro. Non lavoro con i numeri, lavoro con le persone”

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Luca Mariani

«Sono sempre stata curiosa, anche prima di diventare operatrice sociale. Mi ricordo che mi fermavo sempre a parlare con i ragazzi stranieri che si incontravano lì a Clusone, fuori dal supermercato o quello che chiedeva l’elemosina sotto la chiesa del Paradiso. Così quando c’è stata l’occasione di lavorare con i migranti ho risposto subito sìZaira Bergamini spiega con naturale leggerezza perché nel 2015 ha scelto di occuparsi di accoglienza di migranti durante il suo tirocinio universitario, nel corso del suo ultimo anno di magistrale in Diritti umani e cooperazione internazionale presso la UniBg. «Erano gli anni in cui c’era quella “emergenza” data dall’arrivo in valle dei migranti. Sapevo che stavano aprendo dei centri in provincia di Bergamo. Era un contesto in cui mi sarebbe piaciuto approfondire sia la parte lavorativa, sia conoscere queste persone. Volevo capire io perché queste persone arrivano in Italia, senza ascoltare gli altri. Volevo capire cosa potessi fare per aiutarli.»

Così, grazie ad una amica di sua mamma, Zaira entra in contatto con la cooperativa Ruah di Bergamo che la assume prima come tirocinante e poi come operatrice sociale. «È stato super interessante sin dall’inizio. È bello conoscere queste persone, le loro storie e le ragioni della loro decisione di lasciare il proprio paese. È intrigante capire come funziona il sistema dell’accoglienza da noi.»

Per due anni e mezzo Zaira lavora nei centri di accoglienza di Rovetta, Castione della Presolana e negli appartamenti destinati all’accoglienza diffusa sia a Clusone che in val Cavallina. Di questi trenta mesi l’operatrice sociale clusonese non riesce a scordare alcuni episodi negative come quando «hanno imbrattato il muro esterno del centro di Rovetta. Era stata anche indetta una raccolta firme per mandare via i migranti. Obbrobrioso proprio!»

Anche nel cerchio delle sue relazioni personali Zaira ha dovuto fare i conti con questa sua scelta umanitaria, ma in contro tendenza rispetto alla maggioranza rumorosa della popolazione seriana: «È stata dura all’inizio. Un’amica stretta di mia mamma quando ha saputo del mio lavoro si è inalberata e hanno fatto una mega litigata. È stato difficile anche con alcune mie amicizie che poi si sono rilevate per quello che erano. Se non riesci ad accettare che io faccia questo lavoro, questa vita e ho questi interessi allora non abbiamo nient’altro da condividere. Non lavoro con i numeri. Lavoro con le persone. Non è un lavoro di fabbrica che la notte spegni la macchina e vai a casa.»

In questa prima esperienza sul campo l’operatrice classe 1991 incontra soprattutto ragazzi provenienti dalla rotta mediterranea quindi originari dell’Africa subsahariana. Poco più che ventenne si trova a dover gestire uomini, più adulti di lei e musulmani. «All’inizio è stato impattante. Mi ricordo che quando ero una novellina del settore ho avuto un po’ di difficoltà. Ci sono state discussioni con i ragazzi, perché dovevo imporre loro delle regole. Dovevo anche intervenire per risolvere i battibecchi tra di loro. In un primo momento è stato abbastanza peso affrontare questo.»

Pur essendo un ostacolo iniziale le diversità culturali e linguistiche per Zaira rappresentano anche una grande occasione per approfondire e ampliare il proprio bagaglio di conoscenze: «Una volta con i ragazzi abbiamo organizzato una lezione in francese e in inglese aperta a tutti. C’era gente da tutta l’alta valle. È stata un’occasione per fare conoscere i ragazzi arrivati dall’Africa e le loro storie. Ma anche per far capire che il centro non è recintato e può interagire in maniera costruttiva con il territorio.»

Malgrado tutti questi scogli Zaira conserva un ricordo positivo dei suoi primi trenta mesi da operatrice sociale: «Sono stata fortunata perché dove ho lavorato io non è mai successo nulla di eclatante. C’è sempre stato un bel clima. Inoltre ho conosciuto moltissima gente disponibile, come i colleghi e i loro amici. Perciò ho capito che non tutta la valle è quella che raccoglieva le firme contro il centro di accoglienza di Rovetta. Anche per questo è stata una bella occasione

Proprio questa passione totalizzante per il suo lavoro porta Zaira a una completa saturazione. Così nel 2018 decide di staccare e cambiare vita. Si trasferisce a Lampedusa e inizia a lavorare in un bar. In cinque mesi in cui si gode «questo posto incantato in mezzo al mare» Zaira entra in contatto con i giovani che lavorano nell’hotspot più famoso e discusso d’Italia. «Loro mi hanno convinto a tornare nel mondo dell’accoglienza.»

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