Coronavirus, Macario (Rifondazione Comunista): “Fase due. Guai in vista nella bergamasca”

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Pubblichiamo un intervento di Francesco Macario, segretario di Rifondazione Comunista di Bergamo e provincia.

“Mentre ancora infuriano le polemiche sulla mancata zona rossa ad Alzano-Nembro e l’onorevole Daniele Belotti della Lega afferma che la sua istituzione “spettava al governo e non alla regione” dando prova o di scarse capacità cognitive o di una malafede assoluta, e Renzi dal canto suo si spinge tanto in basso da chiedere in nome dei morti di Bergamo e Brescia la riapertura di ogni attività, il governo procede verso la fase 2.

Partiamo innanzitutto da un dato di fatto: la fase 1 non è mai, in realtà, iniziata. Non almeno nei termini che ci si sarebbe aspettato in una provincia come la bergamasca in cui si stima siano realmente morte di Covid19 almeno 10.000 persone (contro le circa 3.000 ufficiali). Secondo i dati prodotti dall’Eco di Bergamo, attuando le decisioni del governo avrebbero dovuto chiudere 48.000 aziende sulle 90.000 esistenti, il 57%. In realtà a queste vanno sommate sia quelle che si sono organizzate in smart working, sia soprattutto quelle che hanno ottenuto la deroga a proseguire le attività.

La fondazione Claudio Sabadini della CGIL ha calcolato che hanno chiesto deroghe, usufruendo del silenzio assenso, ben 2.255 aziende. E altre poi hanno riaperto, ora sono al lavoro il 70/75% delle aziende della provincia. Sono quindi al lavoro 300.000 dei circa 500.000 lavoratori bergamaschi. Di conseguenza il contagio si propaga nei capannoni e nelle famiglie dei lavoratori anche se queste sono confinate in casa.

Ma la situazione sanitaria ufficiale sembra comunque migliorare. Sembra appunto. In realtà nessuno ha il dato esatto dei contagi. Ancora oggi i tamponi vengono fatti prioritariamente a coloro che vengono ospedalizzati. Le cure integrative scoperte empiricamente hanno consentito di individuare efficaci trattamenti farmacologici che limitano i danni causati dal Covid19. I contagiati possono essere quindi curati positivamente nelle abitazioni. Così oggi si sta evitando la immane quantità di ospedalizzazioni che si aveva a marzo. Ai malati a casa si continua però a non fare nessun test o tampone e non rientrano nemmeno nel conteggio ufficiale dei contaminati. Infatti è facile osservare che a fronte di un netto calo dei contagi e dei ricoveri la quantità dei morti scende di poco. In sostanza vengono ricoverati solo casi gravi, a cui viene fatto il tampone, che poi spesso finiscono in terapia intensiva o addirittura anche ad un esito nefasto.

Di conseguenza a fronte di circa 11.000 casi positivi ufficiali nella bergamasca, il dott. Marinoni, presidente dell’ordine dei medici di Bergamo, calcola che tra casi positivi e asintomatici vi siano in provincia in realtà circa tra i 300.000 e le 400.000 persone infettate. Nulla si sa su quanti siano ancora effettivamente contagiosi e per quanto tempo lo rimarranno. Dai primi test risulta che il 61% della popolazione di Alzano e di Nembro è stata contagiata.

Si straparla quindi dell’andamento dei contagi e della ripresa delle attività lavorative ma alla base di tutto questo rimane un nodo da sciogliere: capire quanti sono gli infettati, chi sono e se chi ha avuto il virus è contagioso oppure no.

A fronte di questa situazione ci si aspetterebbe che fosse stata preparata dalla Regione per tempo un’ampia campagna di rilevamento della situazione tramite test sierologici che consentono di individuare coloro che sono entrati a contatto con il virus e quindi di dividere i sani dai contagiati. E con una successivo tampone sui contagiati di definire chi è malato, chi e contagiato asintomatico, ma soprattutto chi è ancora contagioso.

In assenza di una reale conoscenza dei soggetti realmente contagiosi come è posibile stabilire una reale strategia di ripartenza? Che significato ha proporre una App che dovrebbe avvisarti ex post di un eventuale rischio determinato da un contatto con una persona che poi risulti contagiata, quando l’70% degli infettati è asintomatico e quindi non cosciente di essere stato contagioso o peggio di essere ancora infettivo?

La ripartenza stabilita dal governo pone in generale quindi degli interrogativi. Quali sono le condizioni necessarie per attuarla? E siamo in grado in Lombardia di rispettarle?

E’ la regione Lombardia in grado di monitorare costantemente che il contagio sia sotto controllo? Cioè che il reale tasso di riproduzione resti minore di 1 e che il numero reale dei nuovi casi giornalieri sia tale da consentire un efficace programma di “Rintraccia e isola”. Ne dubitiamo visto che non è in grado nemmeno di sapere quanti siano in Bergamasca gli attuali contagiati, e che si è iniziato da qualche giorno una campagna sulla popolazione di test e tamponi al ritmo attuale di 1.000 al giorno (su una popolazione di 1.100.000 abitanti).

Permangono inoltre molte confusioni sul test sierologico, che viene spesso confuso con il tampone e che non serve a dare un “patentino di immunità”, al momento impossibile, ma semplicemente per stimare la frequenza dell’infezione nella popolazione. In sostanza per individuare velocemente coloro che sono entrati a contatto con il virus dalle persone non contagiate.

La Lombardia ha adottato il test Diasorin prodotto da una multinazionale a cui la Lombardia ha concesso, attraverso un affidamento diretto la commessa di kit. Questo test sierologico appare assai complesso, lento da realizzare e disponibile in quantità limitate. E del tutto evidente che con i soli kit (Diasorin) a disposizione e con i soli laboratori pubblici individuati per processarli, accogliere in tempo utile le richieste generate dalla fase 2 da aziende e cittadini è impossibile. E guarda che caso ora la Regione Lombardia sta valutando quindi l’apertura ai privati. La Lombardia per motivare queste scelte si trincera dietro a ragioni di qualità, affidabilità e omogeneità, ma l’importanza e la validità della campagna epidemiologica stanno invece in prima battuta nei risultati qualitativi dei test (chi ha o non ha contratto il virus), risultati che – è evidente – non necessitano di alcuna ulteriore specificazione.

In questa direzione si è invece mossa la regione Veneto che ha annunciato di voler arrivare a fare trentamila tamponi al giorno entro l’estate. Il Veneto prosegue quindi nella sua strategia che prevede analisi sierologiche e tamponi, tanti, una mappatura quanto più ampia possibile dell’avanzamento del virus, riaperture immediate ma con un possibile e immediato ritorno al lockdown. La Lombardia ha il doppio degli abitanti e un contagio molto più diffuso, dovrebbe quindi fare un numero di analisi molto più ampio, ma non sembra nemmeno con l’aiuto dei privati in grado di garantirlo.

Stiamo quindi entrando per volontà del governo in una seconda fase, indistinta a livello nazionale, che la regione Lombardia si appresta a affrontare alla cieca di cui è facile prevedere i risultati non positivi.

E’ infatti il carico di lavoro indotto da ogni nuovo caso per tutte le operazioni della strategia “Rintraccia-e-isola” che detta il numero di operatori necessari e il numero massimo disponibile di questi (già presenti o da reclutare) che determina a sua volta qual è la soglia di nuovi casi giornalieri a cui occorre scendere prima di avviare la fase 2. Ma in Lombardia siamo ben lontani da avere coscienza anche solo della reale attuale dimensione del contagio, figuriamoci della quantità dei nuovi casi. Eppure secondo i disposti governativi si rischia una “ripartenza” affrettata, con l’opposizione di destra che addirittura cavalca il malessere dei soliti ceti intermedi produttivi per accelerare in nome della “libertà” una ripresa di tutte le attività produttive. E’ facile prevedere che i casi giornalieri reali saranno da subito in eccedenza alle possibilità di gestione, ma questo significa che la fase 2 sarà in poco tempo fuori controllo. E non è difficile immaginare le conseguenze.

Vale la pena di tenere presente una semplice considerazione: una seconda ondata dell’epidemia che sopravvenisse precocemente a causa di uno sblocco precipitoso della fase 1 obbligherebbe ad una reintroduzione per almeno un mese del lockdown, con un costo sanitario, sociale ed economico veramente drammatico. La sensazione è di essere finiti in mano ad incapaci e demagoghi…”.

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